Questa settimana, parlare con le società che partecipano ai campionati regionali di basket, avrebbe dato il via alla consueta carrellata sulla preparazione alla prima partita della stagione, alla descrizione dei punti di forza e dei pregi tecnici della prossima avversaria, sui suoi nuovi acquisti e su come si pensava di affrontarla e ci si sarebbe, finalmente, calati nel vivo della pallacanestro “giocata”, quella per cui vale la pena di scrivere e di coltivare una passione che ogni anno trova nuovi spunti per alimentarsi e crescere. Alle spalle una stagione da dimenticare, surreale, funestata dal virus e troncata a metà dall’impossibilità di affrontare in modo sistematico un disastro cosmico come la pandemia. Davanti, un futuro non scevro di incognite, ma affrontabile sulla scorta dell’esperienza e di un rigido protocollo di misure poste in atto per monitorare, testare, rendicontare e mantenere l’ambiente-palestra sanificato e fruibile. Poi, nell’arco di un week end, il nastro si riavvolge e si ripiomba nel buio, con tutte le attività interrotte e una sfilza di punti di domanda cui nessuno darà, nell’immediato, risposte esaustive. I protocolli sanitari per il contenimento dell'emergenza da Covid diramati dalla Federazione, varati dalla Commissione Sanitaria sulla base delle indicazioni dell’Ufficio Sport del Governo e del Comitato Tecnico Scientifico, che fino a venerdì sera rappresentavano la bibbia cui attenersi e la garanzia per lo svolgersi delle attività giovanili e dei campionati federali, in teoria non sono stati cancellati da un colpo di spugna, ma, di fatto, ieri (20 ottobre) sono stati bypassati dalla nota federale sul Dpcm del 18 ottobre, che, in sintesi, recita così: gare e allenamenti consentiti, tranne che in Lombardia. I vertici Fip, dopo una serie di summit, culminati con un incontro con il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora e il presidente Coni Giovanni Malagò, hanno reso noto che i campionati prenderanno regolarmente il via, “unica eccezione la Lombardia, per cui vale l’ordinanza regionale n. 620 che vieta, fino al 6 novembre prossimo, le attività di tutte le categorie senior e giovanili maschili e femminili”. Questa decisione ha scatenato un uragano di scontento tra le società lombarde, che si è tradotto in una serie di petizioni avviate tramite i siti on web, cui hanno aderito in massa addetti ai lavori, appassionati e, soprattutto, genitori, in accorate lettere al presidente Attilio Fontana, in quesiti e interrogativi sull’interpretazione di alcuni punti dell’ordinanza (relativamente ai rimandi, contenuti nell’ordinanza 620, alle precedenti misure relative alla possibilità e alle modalità di svolgimento degli allenamenti), ma, al di là delle proteste più o meno organizzate, il mondo del basket si prepara a un lungo periodo di stop, che, per alcune società, potrebbe preludere a un inesorabile passo avanti in direzione di un baratro in cui scomparire.“Inutile precisare, perché era comunque chiaro a tutti, che, di questi tempi, sarebbe ben difficile trovare ambienti organizzati ad affrontare il virus come le palestre e i palazzetti – esordisce Alfonso Zanellati (nella foto) head-coach del BT Battagli Mortara – ormai eravamo diventati abilissimi a misurare la febbre con la ‘pistola’, a tracciare le presenze degli atleti, raccogliere le autocertificazioni, sanificare, controllare, verificare… Chi opera nel mondo dello sport, poi, è naturalmente predisposto ad avere un ben sviluppato senso civico e, proprio in virtù di questo, riesco anche ad ammettere che si possano bloccare i campionati regionali. In fondo, nelle alte sfere, a chi interessa di salvaguardare l’operato di società che spaccano il capello in quattro per reperire le risorse per far giocare i loro ragazzi in serie C o serie D? Fatta questa considerazione, resta tutto l’universo dei settori giovanili e del minibasket. E, seriamente, mi chiedo che senso abbia alzare un paletto e fermare tutto il movimento. Sì, ho visto, ho letto tutte le testate e i siti specializzati che si sono subito attivati a fare complesse analisi sui punti del Dpcm e dell’ordinanza regionale, volti a scovarne le incongruenze. Tutto molto bello, molto istruttivo, ma per combattere contro chi non ha tenuto in nessun conto la sacrosanta valenza educativa e formativa dello sport ci vorrebbe ben altro, bisogna sollevare un’autentica ondata di protesta, forte, coesa e concentrata sul fare pressione su quest’unico argomento: fermare lo sport giovanile significa togliere ai ragazzi ogni prospettiva, e, oltretutto, perderli di vista. Perché il fatto che, in alternativa, si rimbambiranno tra videogiochi e serie tv è forse il male minore. Stiamo parlando – aggiunge – di ragazzi che, in ogni caso, non se ne staranno tappati in casa, usciranno, si raduneranno e, privati del motivo che li spingeva a mantenersi “attivi” (e non solo dal punto di vista fisico), finiranno per adeguarsi alle leggi del branco. Ricordo ancora, in primavera, lo stupefatto ministro Spadafora, che si meravigliava nell’apprendere quanto grande fosse il numero degli addetti ai lavori, istruttori, allenatori, personale che ruota attorno allo svolgimento delle attività sportive, rimasti dall’oggi al domani senza prospettive, tanto da ‘costringere’ l’apparato statale a rendere loro fruibile il sostegno economico. Ora, tutte queste persone, che si dedicano alla palla a spicchi per passione, ma che nonostante tutto ci devono pure campare, saranno ancora lì, a reclamare sussidi. Quindi, perché, invece di giungere a questo, non si è utilizzato il tempo a disposizione per mettere a punto delle regole e dei meccanismi veramente efficaci perché lo sport giovanile possa sopravvivere?”. E poi ci sono le società, come Mortara, che, per affiancare e sostenere i loro giovani, hanno investito parte delle loro già poco pingui risorse per avvalersi delle prestazioni di giocatori venuti da fuori, con cui è stato sottoscritto un regolare contratto. “Fino alla scadenza del periodo di stop – precisa l’allenatore – la situazione rimarrà invariata, i due lituani e Bonesso rimarranno con noi, pur senza avere nemmeno la possibilità di allenarsi, poi dovremo prendere una decisione, che ora non siamo ancora in grado di prevedere e che potrebbe portarci alla conseguenza più drastica, cioè quella di rescindere i contratti. Certo che da qui al 6 novembre, è ben difficile che la situazione dei contagi si contragga in modo tale da consentire la riapertura dei campionati, ma è l’unica speranza alla quale possiamo attaccarci”.Lo stesso, identico, sentire è condiviso anche dalle società più ‘agili’ e meno strutturate, come la Pro Vigevano, che milita nel campionato di serie D. “È una tegola che si poteva, ma che nessuno voleva prevedere – sintetizza il presidente Daniele Ferracin - l'assurdo è che in queste condizioni ci sia solo la Lombardia. Questo significherà il fallimento di molte società e mi sembra molto ipocrita dire che il provvedimento varrà solo fino al 6 novembre. Sappiamo benissimo che con questi numeri di contagio non riprenderemo mai più per quest'anno e forse per sempre. Vengono tutelate le serie maggiori dove, per assurdo, ci sono stati più casi in proporzione, mentre noi abbiamo sempre fatto tutti i controlli previsti dal protocollo senza avere nessun problema. Viene negato un diritto sacrosanto che è quello di fare sport, e nessuno si preoccupa di dove vanno i ragazzi se non possono andare in palestra, sicuramente in posti meno controllati e più pericolosi”. Nevina Andre