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MORTARA - Novant’anni e non sentirli. Giovedì 7 marzo padre Nunzio De Agostino taglia il traguardo delle 90 primavere. Una vita intera spesa per il prossimo, all’insegna di una autentica “iucunditas” francescana che l’ha accompagnato e che lui ha saputo trasmettere a quanti lo hanno avvicinato in tutti questi anni. A quanti si sono avvicinati a lui cercando un prete e trovando un amico.
“Sai, la settimana prossima sono novanta”: una frase pronunciata con il sorriso sulle labbra al termine della Messa di domenica scorsa, nella “sua” abbazia di Sant’Albino. In quella chiesa incastonata nella Storia, ma allontanata dalla città dalla scelta sciagurata di farci passare davanti la circonvallazione, padre Nunzio ha creato una piccola-grande comunità che si raduna settimanalmente per la Messa festiva delle 11 e 15. Qui padre Nunzio si sente a casa, qui è ancora e sempre quel Nino, come lo chiamavano i genitori, che facendosi grande è diventato padre, amico e maestro di moltissimi giovani che oggi sono diventati uomini e donne, padri e madri. Quella di padre Nunzio è una vita trascorsa con autentico spirito di servizio francescano, incarnando quella che lo stesso padre Nunzio in occasione del suo 50esimo di ordinazione definì “teologia operaia”. 
Classe 1934, il giovane Celeste Mario cresce in viale dei Paladini (oggi viale Parini) tra il profumo dei tigli e quello dello stabilimento Guglielmone. Qui lavoravano i suoi genitori e qui vede tutti i giorni operai che vanno e vengono dallo stabilimento. Per tutto l’anno. Accompagnati dall’afa estiva o stretti nel gelo dei rigori invernali, a piedi o in bicicletta, per poi sparire all’orizzonte in una nebbia densa. Agli occhi del piccolo Celeste Mario quella è più di una lezione di vita, è una voce che anni più tardi lo chiamerà sussurrandogli al cuore.
Ma quegli anni, lontani e spensierati, sono anche gli anni della guerra. Le bombe cadono anche su Mortara e la stessa città rischia di essere rasa al suolo dai tedeschi in ritirata. Solo il coraggioso intervento di monsignor Dughera salva la città. Il parroco di San Lorenzo è una figura di riferimento per il giovane Celeste Mario tanto che nelle sue memorie, pubblicate nel 2006 ne “Il profumo dei tigli”, ricorda come anche il cardinale Giuseppe Siri ammirava il canonico prevosto di San Lorenzo. 
Poi arriva l’ora della chiamata: il futuro padre Nunzio sale al monte Mesma il 31 dicembre 1955 e otto giorni dopo diventa frate. Ha 21 anni. Domenica 25 giugno 1961 la sacra ordinazione nella chiesa conventuale di Sant’Antonio a Torino, poi è la volta del ritorno “a casa”: domenica 2 luglio, alle 18, padre Nunzio celebra la sua prima Messa a San Lorenzo. E subito riparte, prima destinazione: Robassomero, vicino a Venaria Reale. Nel 1963 padre Nunzio arriva a Vercelli, all’Isola, dove c’era il convento di Sant’Antonio, poi ai Torino presso la parrocchia di San Tommaso.
Quattro anni più tardi il ritorno a Mortara, al convento di Sant’Antonio, dove padre Nunzio darà vita a due esperienze uniche e irripetibili: il Franciscanum e la parrocchia di San Giuseppe. 
Poi, alla fine degli anni ‘70, il trasferimento a Vogognano, sulle colline del Casentino. Nel 1990 il ritorno a Mortara, alla parrocchia del Casoni di Sant’Albino e poi ancora la “rinascita” dell’abbazia di Sant’Albino. 
Oggi la barba e i capelli sono diventati bianchi come la neve, il fisico ha bisogno di un po’ di riposo, ma negli occhi c’è ancora una scintilla: quella dell’annuncio che invita alla testimonianza. Un annuncio che si fonda esclusivamente sulle parole del Vangelo e la testimonianza dell’esperienza francescana. La testimonianza di un giovane ricco che, nell’Assisi medievale, si è fatto “niente” per essere immerso totalmente nel “tutto”. 
Ad multos annos, padre Nunzio!