Login / Abbonati

Un viaggio nel tempo accompagnati dalla erudita penna di Umberto De Agostino. Giornalista di lungo corso e abile scrittore, oltre che nostro apprezzato collaboratore, De Agostino ha colto un legame curioso della terra delle le risaie: il rapporto tra liguri (intesi come popolazione preromana) e la repubblica marinara di San Giorgio.  I più curiosi avranno così per le mani un libro “circolare” che parte appunto dai liguri, vissuti tra Po, Ticino e Sesia, e arriva fino a quella Fôxe cantata oggi anche da Gino Paoli e Bruno Lauzi.  “Lomellina medievale - Le abbazie di Mortara e Breme, i Conti palatini di Lomello e i Lomellini, potenti dogi di Genova” è il titolo dell’ultima fatica letteraria, fresca di tipografia, dello scrittore lomellino ed è edito da Lomellibro. In 132 pagine si compie un viaggio nel tempo e nello spazio che prolunga lo sguardo del lettore fino alle acque tunisine che cullano l’antica Tabarka dominata dai genovesi. Ma prima di attraversare il Mediterraneo, bisogna partire dai liguri della pianura: i Levi.  «Stiamo parlando di una delle più antiche popolazioni italiche: secondo alcuni studiosi, sarebbe un popolo indoeuropeo arrivato nell’attuale Nordovest e nell’alta Toscana verso la metà del terzo millennio avanti Cristo, secondo altri sarebbe addirittura un antichissimo popolo pre-indoeuropeo, al pari dei baschi tanto per intenderci. – scrive Umberto De Agostino nella prefazione – Le più profonde radici della Lomellina sono dunque da ricercarsi in questa dimensione storica e anche linguistica, considerato che diversi termini del dialetto lomellino collimano ancora oggi, malgrado la netta predominanza del latino, con quelli parlati lungo le coste del mar Ligure». In un cammino lungo secoli, la storia della Lomellina è pregna di eventi significativi: di regine e di duchi, di pellegrini e paladini. E le testimonianze di questo passato sono ben evidenti ancora oggi, soprattutto a Lomello grazie all’epopea longobarda. È poi la volta di Carlo Magno, considerato a torto o a ragione, uno dei primi padri dell’Europa.  «E qui il nostro percorso a ritroso nella storia lomellina si arricchisce di un altro luogo sorprendente: l’abbazia mortarese di Sant’Albino. – prosegue lo scrittore – Siamo nei primi anni del V secolo, dunque agli albori del cristianesimo, quando Gaudenzio, vescovo di Novara, costruisce due cappelle campestri nell’area situata oltre l’attuale circonvallazione cittadina. L’unica superstite, quella intitolata ad Albino, sarà nota nei secoli a ogni singolo pellegrino proveniente dalle Gallie e diretto a Roma lungo il cammino della fede oggi universalmente noto come Via Francigena. E la devozione si accrescerà dopo la battaglia campale del 12 ottobre 773 tra i Longobardi di re Desiderio e i Franchi di Carlo Magno. Anche in questo caso, come per le nozze di Teodolinda, qualche studioso mette in dubbio la veridicità dell’evento scrivendo che in realtà Carlo Magno aveva avuto via libera dalle Alpi alle porte di Pavia a causa della vigliaccheria dell’esercito longobardo. Noi, invece, prestiamo fede agli studiosi che avvalorano la tesi della battaglia in cui caddero decine di migliaia di soldati. Inoltre, se non fosse avvenuta la carneficina, come sarebbe nata la leggenda dei paladini Amico e Amelio, amplificata nei secoli dai trovatori e dai poeti di Francia e Italia?». Fra il IX e il X secolo si delineano i contorni di un territorio consapevole di aver raggiunto una chiara identità, mentre sotto l’aspetto politico-amministrativo, il pallino resta nelle mani di Pavia.  Superata la paura del “mille e non più mille”, la Lomellina vive una fase di splendore.  «Monasteri, abbazie e luoghi di culto spuntano letteralmente come funghi e alcuni di loro, come le abbazie di Santa Croce di Mortara e di San Pietro di Breme, arriveranno a primeggiare entro i confini del potente Sacro Romano Impero. Anche in questo caso non sarà un percorso rose e fiori perché a quei tempi un’abbazia rappresentava un autentico centro di potere, sia politico sia economico, e di conseguenza faceva gola a molti. – spiega l’autore – Nello specifico, le donazioni di papi e imperatori in terre e denaro si rincorrono a cadenza quasi decennale contribuendo ad accrescere l’incredibile prestigio di Mortariensi e Bremetensi. E anche in questa circostanza torna un forte legame con Genova e il Levante ligure, in cui soprattutto gli abati di Santa Croce arriveranno a controllare molte tessere di quello straordinario mosaico racchiuso fra la Lomellina, Pavia, il Piemonte e l’Emilia, oltre appunto alla Liguria».  Viene poi il momento in cui la Lomellina sposa, in tutti i sensi, la Liguria. E questo chiude appunto quel cerchio aperto dai... “liguri”.  «Non può essere un caso che, nei primissimi anni del XII secolo, un esponente della famiglia dei conti di Lomello, Gandolfo, abbia cercato fortuna proprio nella Superba. – aggiunge De Agostino – Siamo quasi certi che questo patrizio partito dalle terre lomelline avesse sfruttato qualche conoscenza altolocata fra i numerosi priorati e abbazie liguri che facevano capo a Mortara o a Breme, luoghi inseriti nella contea di Lomello. Fatto sta che Gandolfo abbandona la Lomellina trasferendosi in pianta stabile a Genova, dove sposa la figlia dell’ammiraglio Guglielmo Embrìaco: matrimonio senz’altro combinato, come succedeva quasi sempre tra le famiglie nobili, che rappresenterà la fortuna di Gandolfo e dei suoi discendenti per i successivi settecento anni».  Sì perché l’Embrìaco, detto anche “Testadimaglio”, fu tra i protagonisti della presa di Gerusalemme nella prima crociata.  Insomma, Gandolfo riesce ad appendere il cappello al chiodo. Ma la sua abilità non si esaurisce certo nel trovare un matrimonio fortunato, tanto che nel XIII secolo i discendenti di Gandolfo Lomellino, dalla loro roccaforte di Pegli, acquistano gradualmente prestigio sia attraverso i matrimoni con le famiglie più influenti di Genova. Politica e finanza, dunque, ma anche alta marineria. È proprio in mezzo al mare che i Lomellini dimostrano, ancora una volta, una miscela vincente tra abilità e scaltrezza arrivando fino all’isola tunisina di Tabarka per poi arrivare all’isola di San Pietro, in Sardegna, dove ancora oggi si parla il dialetto chiamato “tabarchino” che risulta essere un semplice derivato del dialetto di Pegli. «Nel 1738 – conclude De Agostino – i discendenti dei pegliesi al servizio della famiglia Lomellini lasciano Tabarca per trasferirsi nella disabitata isola sarda di San Pietro: l’emigrazione è autorizzata da Carlo Emanuele III, sovrano del Regno di Sardegna di cui la Lomellina, da dove Gandolfo era partito sette secoli prima, è una Provincia con capoluogo Mortara. Tutto torna. È solo questione di tempo». Torneranno anche maggiori fortune per la Lomellina? Ai posteri, canterebbe il Manzoni, l’ardua sentenza.