Ludovico... chi era costui? Il Moro dalla scalata al potere fino alla caduta nelle mani dei francesi
MORTARA - Il 3 ottobre alle 17 e 30 si terrà alla Biblioteca “Francesco Pezza” una conferenza sul duca di Milano Ludovico Maria Sforza. L’evento è stato organizzato dal Magistrato delle Contrade in collaborazione col Civico.17 e la libreria Le mille e una pagina per lasciare qualcosa in più al pubblico cittadino oltre al bel palio della scorsa domenica. Protagonista del pomeriggio sarà la professoressa Nadia Covini dell’Università degli Studi di Milano che ha pubblicato proprio quest’anno una monografia su Ludovico il Moro.
Si tratta del primo libro a racchiudere una biografia di questo personaggio di grande rilievo nella politica, nella civiltà e nella cultura del suo tempo. Come segnala l’autrice, infatti, “ a parte la recente voce del Dizionario biografico degli italiani, redatta brillantemente da Gino Benzoni, e le ampie informazioni fornite dalla monumentale opera novecentesca sulla corte ludoviciana di Francesco Malaguzzi Valeri, una biografia di Ludovico Maria Sforza non è mai stata scritto”. Anche per questo assume importanza l’intervento della studiosa che, già nota ai lomellini per i suoi studi su questa terra, potrà presentare una prospettiva ragionata della enorme mole di informazioni che gravitano attorno alla figura del Moro. Un libro chiaro, della giusta lunghezza, che dà molto spazio alla storia diplomatica, ma che non si dimentica di raccontare le vicende private del duca e del suo amore per le arti e la cultura.
Il 3 agosto 1452 nasceva nella corte dell’Arengo, dove attualmente è situato Palazzo reale a Milano, Ludovico Maria Sforza detto “il Moro”.
Il padre Francesco Sforza, da poco impadronitosi del ducato di Milano, lo voleva chiamare Charles in onore ai suoi legami con la Francia, in quel momento governata da Carlo VII.
Ma la madre di Ludovico, quella Bianca Maria Visconti che in qualche modo rendeva legittimo il potere del marito Francesco, non ne voleva sapere di chiamare così suo figlio perché “pare un nome da beffe” scriveva la donna, e soprattutto, perché dei francesi non ne voleva sapere. Interessante notare come la politica e i fatti privati si siano mischiati anche in fatti così intimi.
Oggi sappiamo chi prevalse nella scelta del nome di quel bambino “sozo”, sgraziato e di carnagione scura, tutto differente dalla madre bionda e dalla bianca pelle. L’educazione di Ludovico il Moro fu pensata per forgiare un futuro signore: non pedanti insegnamenti filosofico letterari, pure inclusi, ma anche di potere, come ad esempio, le pratiche diplomatiche, di governo e cortigiane. Tra i suoi maestri ci fu il grande umanista del tempo Francesco Filefo. Suo grande svago era sicuramente la caccia che praticò sin da subito tanto da inviare al padre qualche sua preda come nel novembre 1464 quando il bottino fu un grosso cervo.
Nello stesso anno, tra l’altro, Francesco Sforza incaricò il figlio di comandare un’armata di mille cavalli da inviare in Albania, su insistenza del papa Pio II che temeva l’avanzata degli Ottomani.
Divenne così a soli dodici anni cavaliere, ma l’impresa alla fine non si tenne, era solo una promessa simbolica. Alla morte di Francesco Sforza, nel 1466, il potere passò al fratello maggiore, Gian Galeazzo. Quest’ultimo, pur conducendo una vita sfarzosa e mondana, dimostrò un certo talento politico.
Tuttavia, i suoi rapporti tesi con la nobiltà lo condussero a una tragica fine: venne assassinato nel 1476, aprendo la strada all’ascesa di Ludovico. Il rapporto tra i due fratelli era conflittuale perché erano entrambi molto ambiziosi, così pure come Ascanio che cercava in ogni modo di diventare cardinale e scontrandosi più volte con Ludovico.
Alla morte del padre, Ludovico fu subito gettato nel vivo della politica. Sua madre, Bianca Maria Visconti, donna dalla forte personalità e grande influenza, lo inviò a governare Cremona, la sua città d’origine. Questo incarico segnò l’inizio della sua carriera politica.
È curioso osservare che lui era il quintogenito: sarebbero, dunque, dovuti per precedenza essere considerati Filippo Maria e Sforza Maria.
L’uno, tuttavia, era di carattere molto irrequieto, l’altro, grazie a legami matrimoniali, era già duca di Bari. Ludovico si dimostrò affabile e adatto alla pratica di governo a tal punto che Guicciardini lo definirà “principe vigilantissimo e di ingegno molto acuto”.
Ma dura solo qualche mese l’esperienza dicevamo, proprio a causa del fratello che non vedeva di buon occhio la permanenza cremonese di Ludovico.
Nel 1468 gli fu dato il titolo di conte di Mortara e fu incaricato insieme al fratello Sforza di dare udienza in caso di assenza di Galeazzo Maria, piegandosi all’obbedienza del signore di Milano e prendendo le distanze dalla madre. Dopo la morte di questa nell’ottobre 1468 ricoprì vari incarichi di governo in varie città del ducato, guadagnandosi anche la fiducia del fratello tanto che in un testamento del 1471 venne designato il solo Ludovico, in caso di mancata discendenza diretta, come unico erede della signoria di Milano.
Dal 1476 cominciò la parte più appassionante della vita di Ludovico Maria Sforza, quella della scalata al potere e della sua caduta. Per sua sfortuna il fratello non era morto senza eredi. Tuttavia Gian Galeazzo Maria era troppo piccolo per governare così la pratica esecutiva passò alla madre Bona di Savoia affiancato da un uomo che conosceva la macchina amministrativa visconteo sforzesca a menadito, ovvero il calabrese Cicco Simonetta, personaggio di spicco nella Milano dell’epoca e fondamentale per le sorti del ducato.
Fu infatti lui il principale nemico del Moro in questo periodo di cui cercò di sbarazzarsi il prima possibile per sostituirlo con suoi fedeli. Non fu impresa facile, soprattutto perché tornato da un’ambasceria formale in Francia nel 1477, Ludovico insieme a suo fratello Ascanio e ad altri condottieri a lui fedeli furono esiliati. Fu in quegli anni, in una intricata serie di guerre e alleanze, che Ludovico riuscì a tornare a Milano.
La situazione per lui era favorevole: molti nobili non erano affatto contenti dello strapotere del Simonetta, tanto che Ludovico, che apprezzava l’abilità amministrativa del calabrese, fu nella pratica costretto ad arrestarlo e a giustiziarlo.
La via verso la presa del potere era avviata. Bisognava solo scostare i maggiori ostacoli, ovvero il castellano Filippo Eustachi, che possedeva le chiavi della sala del tesoro sforzesco, Bona di Savoia, che avanzava pretese di governo, e in misura minore il nipote Gian Galeazzo Maria, ancora piccolo ma pur sempre il primo genito del defunto signore.
Durante la scalata al potere se ne sarebbero presentati altri e ben più determinanti, come Gian Giacomo Trivulzio, colui che permise ai francesi di conquistare il ducato nel decennio successivo.
Le prime operazioni che Ludovico attuò riguardarono il riassestamento della macchina amministrativa per accentrare sempre più nelle sue mani e dei suoi fidati il potere.
Consolidò poi le alleanze con le altre potenze italiane e si garantì, a sua insaputa, un matrimonio con un casato importante quello degli Este.
Sua cognata Bona, con una manovra nascosta, aveva reso ufficiale il fidanzamento con Beatrice, figlia d’Ercole I. Per Ludovico non fu proprio una bella notizia.
I due avevano 23 anni di differenza, scarto importante che non avrebbe potuto garantirgli in breve tempo una discendenza. Lui avrebbe preferito Isabella d’este, la sorella maggiore, ma era già promessa ad altri. Però, alla fine, non si rivelò così sconveniente la scelta della piccola Beatrice, dato che era cresciuta nella corte di Napoli, regno con cui il Moro aveva necessità di saldare l’alleanza.
La promessa arrivò nel 1480, ma i due si sposarono solo nel 1491, un anno dopo il matrimonio tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Maria Sforza. Durante gli anni ’80 del Quattrocento si sbarazzò di tutti i personaggi a lui scomodi, recluse in pratica la cognata e rese suo fantoccio il duchetto, che crebbe con grande timore e reverenza nei confronti dello zio.
Allo stesso tempo cominciò a interessarsi di politica estera, seminando i semi della sua futura disfatta. Gli anni Novanta, saranno proprio per questo molto movimentati, e nel giro di mesi le sorti cambiavano in modo molto determinante. Le scelte incaute di voler mettere, come si dice, un piede in due scarpe, la Francia e l’Impero, portò sostanzialmente alla disfatta del suo ducato.
Non fece nemmeno in tempo a godersi il titolo di duca ottenuto nel 1494, perché da quel momento in poi con la calata dei francesi la situazione sullo scacchiere italiano si fece sempre più complessa. Ma per Mortara e il suo palio la storia termina nel 1495, quando il duca era occupato a gestire l’assedio di Novara da parte di Luigi d’Orleans, legittimo successore al ducato perché erede di Gian Galeazzo Visconti per linea femminile, non ancora re, ma già con le idee chiare sul futuro del ducato di Milano. Chissà in che stato era al duca nel settembre di quell’anno…
Vittorio Orsina