Valle: in biblioteca venerdì le storie dei prigionieri di guerra in Lomellina
VALLE - Perché in Sudafrica esiste un gruppo di persone che portano le calze rosse al venerdì? Che cos’è il Campo di Lavoro numero 146? Chi sono Giovanna Freddi e Sidney Feinson? Tre interrogativi legati dal filo di una storia poco o per nulla conosciuta. Aiuterà a conoscerla il professor Giuseppe Zucca, ospite nella sala polifunzionale “Alessandro Savini” venerdì 10 febbraio, alle 21. Nato a Ferrera, Giuseppe Zucca (nella foto) è stato maestro elementare, direttore didattico e preside a Mortara. Appassionato di storia, e in particolare di storia locale, nel 2016 ha dato alle stampe il volume “Prigionieri di guerra in Lomellina”, cui ha fatto seguito, a coronamento del percorso storiografico intrapreso, “I giusti della Lomellina” (2022). Entrambe le opere saranno oggetto di presentazione in due distinte serate. Giovanna Freddi è il nome della madre di Giuseppe Zucca, la quale era solita raccontare al figlio le vicende che l’avevano coinvolta nelle settimane successive all’armistizio dell’8 settembre 1943.
Occorre però fare un passo indietro. La campagna d’Africa, fino a quel momento disastrosa per le truppe italiane, subisce un’inversione di marcia grazie all’intervento dell’alleato tedesco. Nella primavera del 1942, dopo alterne vicende, le armate dell’Asse passano al contrattacco, che porta, a giugno, alla conquista di Tobruk. La resa inglese consegna nelle mani degli italo-tedeschi oltre 33mila prigionieri, per la maggior parte di origine sudafricana. La conclusione della campagna è nota a tutta: la sconfitta di El Alamein costringe i nazifascisti a smobilitare e ad abbandonare il continente africano. Che fare dei prigionieri? Si decide per il loro trasferimento in Italia, dove vengono smistati in campi di lavoro al fine di supplire alla carenza di manodopera provocata dalla chiamata alle armi di un gran numero di uomini. Nel giro di poche settimane i campi di lavoro si moltiplicano a un ritmo quasi frenetico. Uno di questi ha sede a Mortara: è il campo di lavoro numero 146, un campo base avente la funzione di redistribuire i prigionieri nei campi da esso dipendenti, siti ciascuno sul territorio del Comune che aveva fatto richiesta di tale forza lavoro. Passano i mesi, arriva l’8 settembre. Il generale sbandamento e il collasso delle strutture di comando seguiti all’armistizio si ripercuote anche sull’organizzazione dei campi e favorisce la fuga di numerosi prigionieri, diretti soprattutto in Svizzera. Ma l’occupazione tedesca e la nascita della Repubblica sociale complicano ulteriormente le cose: abbandonati a se stessi, braccati dai nazifascisti, con una taglia sulla testa, molti fuggiaschi si sottraggono alla cattura e alla deportazione grazie alla solidarietà di un’ampia fascia della popolazione italiana (soprattutto quella contadina), insofferente allo spadroneggiare delle truppe tedesche, ormai ostile al fascismo e desiderosa che l’immane tragedia della guerra abbia finalmente termine. Incuranti dei rischi ai quali si esponevano, questi italiani hanno saputo far prevalere, nei mesi più bui per il loro Paese, le ragioni della pietà e della fraternità contro l’odio, la brutalità, la disumanizzazione del nemico.
Nel novero di questi italiani si colloca, proprio la madre del professor Giuseppe Zucca, Giovanna Freddi, che contribuì, insieme ai suoi famigliari e al parroco di Ferrera, alla salvezza di tre soldati sudafricani, nascondendoli e sfamandoli. Uno di questi soldati si chiamava Sidney Feinson: tornato a casa, nei decenni successivi non sarebbe mai venuto meno al suo debito di gratitudine ricordando in ogni intervista la figura di “Giovanna, una giovane donna italiana” alla quale doveva la vita. Partendo da questi presupposti tanto cari e vicini, Giuseppe Zucca ha indagato, con ampio e accurato lavoro sui documenti rimasti, le vicende dei prigionieri di guerra detenuti in Lomellina tra l’aprile e il settembre del 1943 e impiegati nel settore agricolo. Ne è risultata una ricostruzione rigorosa e dettagliata, ma anche coinvolgente per il suo ritmo narrativo e lo stile di scrittura preciso e scorrevole. “Prigionieri di guerra in Lomellina” ha il merito di colmare una lacuna storiografica e di portare alla luce e sottoporre alcuni aspetti fino ad oggi trascurati di quel turbolento periodo. Ma forse il pregio maggiore dell’opera consiste nel fatto che in essa, oltre alla disamina dei fatti, volta alla ricostruzione di una verità storica, trovi adeguato spazio la sottolineatura del senso di umanità, di quel sentimento naturale e spontaneo di fratellanza che spinse la maggior parte delle persone a rigettare l’odio e la paura imposti da un potere del quale quelle stesse persone si consideravano ormai anch’esse vittime.
Riccardo Carena