Massacrato di botte: così è stato ucciso Sgroi, in carcere il fratello e il coinquilino
CILAVEGNA – Rumori forti, ripetuti e certamente anomali per l’orario, poco oltre la mezzanotte di mercoledì 25 agosto, e per il contesto, una palazzina anonima e rispettabile in una via di Cilavegna. Qualcuno che abita lì ha iniziato ad allarmarsi per il fragore di oggetti spaccati e per le urla ininterrotte, anche se i carabinieri li ha chiamati uno dei due soggetti poi arrestati. All’arrivo dei militari, l’appartamento al secondo piano di via dei Mille, che dà sul cortile interno, era completamente a soqquadro. Oggetti rotti, porte delle stanze distrutte. Uno scenario di devastazione con la vittima, Giuseppe Sgroi, 54 anni, già morto, massacrato, trovato riverso sul pavimento della cucina.
Il profondo trauma facciale è una conseguenza delle percosse che aveva ricevuto. Sono stati notati anche segni di strangolamento e di calci in faccia sferrati post mortem. Si attende, ad ogni modo, l’esito dell’autopsia.
Insieme al cadavere di Sgroi, che lavorava da qualche tempo come operatore ecologico nella piazzola del paese e vantava un passato trascurabile di consigliere comunale a Cozzo in minoranza, c’erano ancora le altre due persone che vivevano lì: il fratello minore Massimo, 52 anni, e Giuseppe Di Stefano, 34 anni. Massimo è incensurato e risiede da sempre in quella casa. Quando poteva, svolgeva lavoretti saltuari, anche se un’occupazione mancava da tempo e lo si vedeva sempre al bar della piazza, a bere. L’altro risulta soltanto domiciliato. Un ospite. Al mattino, col via vai di ambulanze prima e di forze dell’ordine andato avanti per alcune ore, coi curiosi in strada, i vicini di casa non avevano troppa voglia di parlare. Certo, il contesto è tranquillo ed il paese all’apparenza noioso, ma qualcuno non si è detto troppo stupito dell’epilogo di una lite esasperata che non pareva certo la prima, tra persone ai margini. Il sindaco di Cilavegna Manuel Maggio ha chiarito il passato non facile dei due fratelli Sgroi, che vivevano nell’appartamento di famiglia, ereditato. Sul citofono, si legge ancora il cognome della madre. “Il Comune li seguiva tramite i servizi sociali, anche aiutandoli con borse alimentari. Poi hanno smesso di chiederle, quando il morto aveva trovato lavoro”.
L’omicidio pare essersi consumato in un lasso di tempo breve, dieci minuti circa. L’assassino si è poi lavato: tracce di sangue sono state trovate nel lavandino del bagno e sugli asciugamani.
L’esame, decisivo, chiarirà a chi appartengono. Sgroi è uscito di casa alle 23 e 55, e lo certificano le telecamere sparse per il paese. I carabinieri sono stati chiamati a mezzanotte e 12. Sgroi, dopo che la discussione era già iniziata, si vede andare in piazza e poi tornare. Massimo riferirà al pubblico ministero Valentina Terrile “di non averlo neanche notato uscire”. Di Stefano chiamerà poi i carabinieri. Sia lui sia il fratello erano sporchi di sangue. La Gip Maria Cristina Lapi ha confermato il carcere per entrambi nell’ordinanza arrivata dopo l’interrogatorio. Di Stefano resterà a Torre Del Gallo a Pavia e Massimo Sgroi nel penitenziario dei Piccolini di Vigevano. Intanto, nel contesto di disagio sociale in cui è maturato l’omicidio nell’appartamento di via dei Mille, emergono discussioni quasi all’ordine del giorno tra lo stesso Sgroi, 54 anni, e i coinquilini accusati di omicidio volontario. La situazione di indigenza e marginalità che creava attriti familiari con discussioni quasi quotidiane è precipitata con l’arrivo di Di Stefano, uomo dal carattere difficile. Trentaquattrenne, nel 2021 era finito in carcere per aver dato fuoco al magazzino di proprietà della ex fidanzata. Non accettava la fine della relazione.
Dopo essere uscito, alcune settimane fa, aveva cercato un posto dove stare nel paese dove è cresciuto. Si è ricordato di Giuseppe Sgroi, suo vecchio amico da molti anni. Lui aveva accettato di ospitarlo, “forte” dell’essere l’unico che portava a casa uno stipendio e quindi di poter in qualche modo decidere sulle dinamiche familiari. Una situazione, quella di avere un coinquilino, che pareva non piacere per niente a Massimo: giorni prima della tragedia i carabinieri si erano già presentati in via dei Mille, chiamati dal morto per cercare di calmare il fratello che dava in escandescenze. Quest’ultimo, difeso dall’avvocata Valentina Zecchini Vaghi, rispondendo alle domande del pubblico ministero Valentina aveva chiarito: “non volevo Di Stefano in casa, ho assistito al litigio ma al momento dei colpi ero in un’altra stanza. Ho trovato mio fratello a terra”. Di Stefano, anche lui in carcere, difeso dall’avvocata Alessandra Zerbi, durante il primo interrogatorio si è avvalso della facoltà di non rispondere. La serata di martedì 27, l’ultima per il 54enne, sembrava tranquilla. Qualcuno ha riferito di averli visti tutti e tre al solito bar. Poi il ritorno a casa, la cena e la situazione che è degenerata, non si esclude (ma l’ipotesi va confermata) per colpa anche dello stato di alterazione dei soggetti coinvolti. L’oggetto del contendere sarebbe stato, come le altre volte, la gestione del denaro e della spesa, con accuse reciproche di cibo sparito dal frigorifero e di avere in casa un “ospite sgradito”.