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Filippo Svelto, centrocampista classe ’99 dalle belle speranze accasatosi questa estate al Garlasco, alla corte di mister Chierico. Filippo, ventuno anni a giugno, oltre ad essere una pedina fondamentale nello scacchiere gialloblù, studia per diventare ingegnere all’Università degli Studi di Pavia ed è un fanatico di sport. In particolare coltiva una grande passione per il nuoto e il basket oltre, ovviamente, al suo amato pallone. Dopo la fugace parentesi di Ferrera è arrivata la chiamata gialloblù, ci racconta la sua estate? “Ho sposato la causa erbognina perché volevo proseguire il percorso iniziato a Bastida con coach Balestra. Poi, a causa di alcune vicende societarie, mi sono svincolato e tramite alcuni contatti sono venuto a conoscenza dell’interesse del Garlasco. Ho deciso di mantenere la categoria che era il mio obiettivo principale”. Chi l’ha aiutata maggiormente nell’inserimento in squadra? “Dico Hajrullai e Ferrari, li conoscevo già perché giocavamo insieme a Bastida e abbiamo viaggiato insieme. Ho legato principalmente con i ragazzi della mia età. C’è stata grande disponibilità da parte di tutti e mi sono sentito a casa. Devo ringraziare i giocatori, lo staff tecnico, il presidente e soprattutto mister Chierico. È un allenatore di un’altra categoria e spero che il nostro percorso insieme possa proseguire ulteriormente”. E l’Università come va’? “Pensavo di poter gestire meglio alcune lezioni. Questo per me non può essere un periodo di vacanza, sto continuando a seguire i podcast e le lezioni in diretta cercando di rimanere in pari con il programma. Anche a livello fisico mi sto impegnando per mantenere la forma limitatamente a quello che posso fare. Come impegna il tempo libero? “Principalmente studio, di solito ho lezione sempre di mattina e talvolta di pomeriggio. Sennò mi ascolto un po’ di musica o guardo un film, e prima di cena mi ritaglio un’oretta per allenarmi. La sera chiamo gli amici e i nonni o gioco alla play, è un po’ la prassi”. E del calcio cosa le manca di più? “Quello che più mi manca, oltre alle emozioni di questo sport, è la routine. Tornare a casa dall’università, prendere la macchina e partire per raggiungere il campo, mettere su gli scarpini. Mi manca tutto questo, anche il pallone ovvio, ma soprattutto il gruppo e le serate con la squadra. Attualmente non possiamo fare altrimenti, abbiamo la fortuna di avere tutto in casa e il pensiero principale non va al calcio. Spero che al termine di questa situazione le persone possano riflettere sul significato di quotidianità e sul concetto di libertà”.Mattia Spita