MORTARA - Ora come allora. La chiesa di San Giuseppe, nel quartiere Marzotto, festeggerà i suoi primi 50 anni di “attività” il prossimo 24 dicembre. Proprio come fu nel 1970, sarà la Santa Messa della Vigilia a segnare l’evento. E ancora una volta, a celebrare la Messa sarà padre Nunzio de Agostino, colui che dal nulla ha creato un centro di fede in quello che era un quartiere operaio fortemente legato al fabricòn. “Sarà come tornare indietro nel tempo. - rivela padre Nunzio de Agostini - Ho raccolto l’invito del nostro amministratore parrocchiale, don Gianluigi Repossi, e così il prossimo 24 dicembre, alle 18, celebreremo la Messa della Vigilia di Natale nella chiesetta dedicata a San Giuseppe operaio. E ci saranno anche i ragazzi di allora, che oggi sono diventati uomini e donne, papà e mamme”.Nella voce di padre Nunzio c’è sì un po’ di commozione, ma si scorge anche una certa soddisfazione. Una soddisfazione per aver piantato un seme che ha generato un albero dai frutti generosi. Non solo per il quartiere Marzotto, ma per l’intera città di Mortara. La storia di San Giuseppe, però, inizia prima del 24 dicembre 1970, esattamente all’inizio di quell’anno: il 4 gennaio. E’ lo stesso padre Nunzio a ricordarlo nel suo libro “Il profumo dei tigli”, dato alle stampe nel 2006 in concomitanza del 45esimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Era 4 gennaio 1970 quando le ore 05:30 del mattino squillo al telefono che stava in fondo al corridoio del convento. Era il vescovo monsignor Luigi Barbero che mi chiedeva se ero già in piedi e se potevo raggiungerlo in vescovado dove mi attendeva. Mi raccomando solo di guidare con pazienza perché le strade erano gelate. Quando arrivai, trovai il vescovo intento considerare una carta topografica di Mortara distesa sul tavolo del suo studio. Mi accolse con un sorriso e una stretta di mano e un invito ad avvicinarmi. “A Mortara dovrà sorgere una nuova parrocchia che comprenderà la vostra chiesa di Sant’Antonio e la nuova chiesa che dovrà essere costruita sul terreno donato del Conte Marzotto” mi disse. “Veda di erigerla entro quest’anno in modo da poterla inaugurare a Natale. La zona di Zignago è una zona industriale, ci sono tante famiglie di lavoratori e tanti bambini e giovani, perciò la chiesa è indispensabile”. E tacque fissandomi negli occhi. Io avevo sentito tutto ma in realtà non avevo capito niente, perciò, dopo una lunga pausa gli chiesi: “Io?”. “Sì lei con l’appoggio dei suoi confratelli e di tante persone di buona volontà. Il suo Padre Provinciale è già al corrente della cosa ed è consenziente”. Risposi: “E come?”. “Con l’aiuto della Provvidenza e con la mia benedizione”.Non solo. Nell’accompagnare padre Nunzio alla porta, monsignor Barbero disse che, come da tradizione, l’11 febbraio sarebbe andato alla chiesa dei frati per la festa della Madonna di Lourdes e in quell’occasione avrebbe letto il decreto di erezione della nuova parrocchia. Entro quella data avrebbe dunque dovuto conoscere il nome del santo che unito a quello di Sant’Antonio sarebbe diventato il nome ufficiale della parrocchia. Il ritorno a Mortara fu difficoltoso con la testa in stato confusionale io ad ogni domanda che mi facevo la risposta è sempre la stessa: “Impossibile”.Ma la Provvidenza, che agisce anche con strumenti insufficienti, non abbandona padre Nunzio che si mette subito all’opera. Entrai nel mio studio e sfogliando le riviste datemi dal vescovo, notai che una di quelle era segnata con delle frecce tracciate a penna: evidenziavano il nome di una ditta di Padova che costruiva e montava in loco prefabbricati di chiese di diverse misure e forme. Me ne piacque una in particolar modo tra l’altro evidenziata da sottolineature certamente fatte dal vescovo. Telefonai così a questa ditta che mi fornì tutte le delucidazioni del caso. I lavori del basamento, le linee elettriche, l’acqua e il gas sono di competenza del compratore, e come tempistica, la ditta avrebbe ultimato il montaggio delle strutture entro l’anno al prezzo di 15 milioni di lire: 5 al momento della firma e 10 alla consegna delle chiavi. Il direttore della società mi comunicò che entro 10 giorni sarebbe passato da Mortara dovendo recarsi ad Alessandria ed io lo invitai al convento tanto per conoscerci. Per tutte le altre spese, soprattutto per il basamento della chiesa, si sarebbero giunti altri 20 milioni circa. Non avevo una lira.Alle difficoltà economiche si aggiunsero quelle burocratiche. Il Comune non vedeva di buon occhio una nuova chiesa, soprattutto in una zona dove c’erano campi da tennis e una sala da ballo. E probabilmente, riferivano dal municipio, non sarebbe neppure stata gradita dagli abitanti di un quartiere “rosso”. Ma il vescovo tira diritto e l’11 febbraio, tra gli applausi dei fedeli che gremivano la chiesa dei frati annuncia il nome della nuova parrocchia: Parrocchia dei Santi Giuseppe e Antonio, proprio perché il titolo della chiesa (costruita solo nella mente del vescovo e nel cuore di padre Nunzio) era quello di San Giuseppe operaio. E qui la Provvidenza torna a metterci mano. Come? La sinistra che stava al governo della città inizia a mostrarsi favorevole alla costruzione della nuova chiesa. Il perché è molto semplice: politica. Già perché alcuni democristiani non vedevano di buon occhio la realizzazione di una nuova parrocchia. E così i comunisti, per fare un dispetto ai Dc, diedero una bella mano a padre nunzio e al vescovo. Così i lavori possono finalmente iniziare. Lavori che furono terminati dalla ditta padovana esattamente la vigilia di Natale, quando una bella nevicata ci preparò un paesaggio surreale. Papà si mise a spalare la neve dalla chiesa alla strada e incrociandolo mi chiese: “Stanotte celebrerai la Messa?”. Alla mia risposta affermativa rispose: “A mezzanotte saremo io, te e la mamma”. Le cose, però, andarono diversamente. Quando aperta la porta entrai per la celebrazione, mi parve di sognare: un pieno inverosimile, la chiesa era stipata, presenti sindaco e amministrazione quasi al completo, vigili urbani e addirittura un piccolo coro di bimbi con tanto di organista e tastiera. Già, ma c’è stato anche il momento in cui la ditta di Padova ha presentato il conto. E come ha fatto padre Nunzio a pagare? Evidentemente la provvidenza, che gode di ottimo udito, deve aver sentito il frate esclamare “non ho una lira” e così ha messo sulla sua strada Pierina Arlenghi. La benefattrice donò a padre Nunzio e alla neonata parrocchia i suoi averi e così poté essere saldato il conto dell’impresa edile. Il muro di cinta dell’area verde è stato poi costruito dai parrocchiani all’uscita dalle fabbriche e il papà di padre Nunzio riuscì a trasformare quell’area brulla in un giardino. Poi arrivò il vagone ferroviario, donato dal direttore generale delle Ferrovie. E la Marzotto mise a disposizione appezzamenti di terreno per realizzare un giardino con giochi per bambini. Così, quel seme gettato nel quartiere operaio fiorì! La Messa domenicale era frequentata e i bambini partecipavano al Catechismo. Venne addirittura fondata la “città dei ragazzi” con tanto di elezioni, sindaco e guardie civiche. Vennero poi organizzate le piccole olimpiadi e alcuni ragazzi formarono un complesso musicale. Quei miei ragazzi di allora: Ivan, Luciano, Andrea, Michele, Cinzia, Flavia, i fratelli Ferrari, Laura, Angelo, Emanuela, Carluccio, Luca, Marco, Pietro, Elio, oggi sono tutti papà e mamme, medici, imprenditori, stimati lavoratori e professionisti e proprio nel dicembre 2005 hanno voluto rivivere con me i 35 anni della loro e della mia chiesa di San Giuseppe. Hanno suonato, hanno cantato, hanno servito Messa e fatte le letture, proprio come allora, ma certamente con più matura partecipazione e tanta nostalgia. Così tra pochi giorni, i ragazzi di ieri potranno tornare nella loro chiesa per poter festeggiare un traguardo importante. Nella notte della Vigilia brillerà la luce della speranza, proprio come 50 anni fa: quando un piccolo e nuovo lume iniziò a rischiarare un quartiere operaio e la città. E questo anniversario servirà a fare riflettere proprio i mortaresi, perché con un nuovo e più profondo impegno civico possa ritornare quello che Giancarlo Torti dalle pagine di questo settimanale definì “il periodo d’oro della città”.