MORTARA - Il paradosso dei sierologici: i test ci sono ma le persone non li vogliono. Il grande problema è la paura di finire di nuovo in quarantena, un obbligo previsto per tutti i positivi agli anticorpi da Sars-Cov-2. Almeno finché questi non riescano a dimostrare di essere ormai negativi al tampone e quindi non più contagiosi. E al tampone ci si può sottoporre in due modi soltanto: privatamente, pagando il costo dell’analisi di tasca propria (una sessantina d’euro di spesa) oppure attraverso il sistema sanitario nazionale, aspettando in quarantena il proprio turno nelle liste di attesa stilate da Ats. “Ad oggi, il 10% dei test sierologici analizzati nei nostri laboratori sono risultati positivi – racconta infatti Federico Ramponi (nella foto), presidente della società di laboratori di analisi mediche Sant’Ambrogio – di questi, la maggior parte sono risultati poi negativi al tampone. Si tratta tuttavia di un dato non indicativo. Abbiamo sedi a Mortara, Vigevano, Cassolnovo, Garlasco, Casorate Primo e Marcallo con Casone e sommando i test effettuati in tutti questi centri avremo analizzato soltanto un migliaio di casi in totale, tra cui rientrano quelli di alcune aziende che hanno richiesto l’analisi per permettere ai propri dipendenti di tornare al lavoro in sicurezza. Questi dati sono troppo pochi per avere una stima reale”. È importante però a questo punto capire bene che cos’è il test sierologico e come mai i positivi vengono obbligati a sottoporsi anche al tampone. “Nei nostri laboratori utilizziamo un metodo messo a punto dalla Abbott, il miglior fornitore di test sierologici a livello nazionale. Questa azienda ha messo a punto un sistema per verificare la presenza nel sangue di anticorpi contro il virus con un’affidabilità del 98 per cento – spiega puntuale il dottor Ramponi -. In particolare, si evidenziano Immunoglobuline di tipo G. Questi sono gli anticorpi che ci permettono di capire se il paziente sia stato o meno a contatto con il virus, perché compaiono quando il soggetto è già nella fase finale della malattia ovvero quando il suo corpo è ormai vicino alla guarigione”. Ed è qui che sta la sfortuna: essere positivi alle famose IgG non significa non essere più contagiosi, ma soltanto trovarsi in una fase “avanzata” dell’infezione. L’unica certezza (o quasi) di non essere più veicolo di contagio è il risultato di un tampone negativo. “Le pubblicazioni confermano che il tampone è affidabile circa al 92 per cento – spiega il presidente del Lam Sant’Ambrogio – la questione è che non è stata messa a punto nessuna ricerca sul metodo di indagine, perché si stava affrontando un momento di massima emergenza. L’affidabilità però passa anche dal fatto che la procedura del tampone è unica per tutti i pazienti. In questo momento, inoltre, alcuni studi stanno facendo chiarezza sulla durata delle Immunoglobuline G nel sangue. Adesso infatti è importante capire se gli anticorpi per questa malattia sono perenni nel corpo, fatto di cui io sinceramente dubito. I nostri risultati mostrano comunque persone che hanno avuto sintomi a gennaio ancora positive al sierologico, per cui secondo me per qualche mese gli anticorpi sono presenti e possono proteggere dall’infezione”. Nonostante il lungo percorso che aspetta i positivi al sierologico, sia in termini di tempo che di spese, il test ha comunque un vantaggio importante. “Personalmente consiglierei di sottoporsi al test sierologico – conclude il dottor Federico Ramponi – perché seguire questa procedura è l’unico modo per avere la sicurezza di non infettare altre persone. Secondo me, con il passare dei mesi e quando il sistema sanitario si sarà adeguato, questi test verranno prescritti di routine dai medici di base, per tenere sotto controllo i contagi. Quanto meno finché il virus sarà in circolo senza poter disporre di un vaccino”.Beatrice Mirimin