Le esecuzioni capitali a Mortara erano talmente frequenti, nei primi anni del ‘700, da “costringere” il Comune a lasciare un patibolo permanente. La forca della città era in piazza Trieste, circa dove ora sorge la borsa merci. La ricerca è di Simone Tabarini, storico locale e curatore della pagina Facebook “Storie di Lomellina”. Oltre alla narrazione generale emerge anche una vicenda particolare, quella di Giuseppe Prà, forse impiccato da innocente. “Fino a quando la fortezza di Mortara è stata distrutta, nel 1713 – aggiunge Tabarini, di professione infermiere – le condanne a morte avvenivano davvero davanti alla folla. Lì, presso il corso dell’Arbogna, venivano portati i prigionieri prima incarcerati presso il palazzo comunale. Durante il tragitto, sul carretto, la gente sputava e lanciava verdura o sassi al condannato che aveva il volto coperto. Qui lo attendevano il boia, un prete e alcuni uomini della confraternita di San Giovanni. Dopo esser morto il corpo veniva fatto a pezzi e un braccio, la testa o una gamba venivano posizionati normalmente presso le porte della città: Milano e Alessandria o in qualche piazza presente nella fortezza. Era un monito ai mortaresi: chi si rivelava un ladro o un assassino, sarebbe finito così. Dopo una settimana di esposizione al pubblico, le parti del corpo venivano rimosse e sotterrate in una fossa comune. Il patibolo rimaneva in loco, tanto è che le cronache del tempo parlano di un condannato ogni 7 giorni”. La fossa comune potrebbe esistere ancora. Con costruzione del cimitero napoleonico i cadaveri, o per lo meno i resti, vennero spostati nell’attuale cimitero di Mortara. Esiste ancora un cippo che ricorda le vittime di quel periodo. “Una volta entrati – prosegue lo storico classe 1988 – se guardate a sinistra, prima delle scale che vi conducono alla zona monumentale, vedrete la lapide in memoria delle persone decedute durante le ultime esecuzioni capitali”. Il giovane storico chiarisce che “Esistono documenti poco chiari che parlano dell’argomento, ma se prendiamo una vecchia storia narrata dai più anziani e collochiamo i vari riferimenti storici, siamo in grado di comprendere dove venivano uccisi coloro condannati alla pena capitale”. La vicenda più celebre in questo senso nei ricordi popolari è proprio quella di Giuseppe Prà, menzionata su alcuni testi di storia locale. Trentenne, originario di Novi Ligure ma residente a Castelnuovo Scrivia, era stato accusato di rapina a mano armata e furto di gioielli a danno dei coniugi Bigliè. “L’anno prima che venisse giustiziato – racconta Tabarini – mentre si trovava sulla strada che va da Alagna a Tromello venne inseguito da due guardie, catturato e collegato alle storiche bande di briganti piemontesi. Probabilmente non aveva fatto nulla! È certo che venne messo alla forca presso porta Milano, vicino a dove aveva sede la caserma dei vigili del fuoco fino allo scorso anno”. La data d’inizio delle esecuzioni a Mortara non è certa, anche se probabilmente l’usanza è iniziata sul finire del ‘400. “Porta Milano venne realizzata nel 1555 – conclude lo storico - e quindi, sicuramente, l’impiccagione fu fiorente per tutto il periodo spagnolo, fino al 1700. Con l’avvento del 1800 gran parte delle esecuzioni terminarono, per lo meno davanti al pubblico. Quindi si può stimare una durata di più di 300 anni”.Davide Maniac