Air Force Renzi, una macchina succhia soldi: lo ha scoperto l’indagine del commercialista mortarese Stefano Martinazzo
L’Air Force Renzi? Una lista di sprechi volanti che ora non decollano più. La vicenda del famigerato aereo di Stato, voluto dall’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha animato e continua ad animare il dibattito pubblico di una scena politica italiana sempre più desolante.
Sull’aereo dei sogni, secondo il progetto di ristrutturazione, c’era di tutto e di più: una camera da letto pomposamente definita “master bedroom” con due letti singoli, bagno (in camera) con doccia, due monitor da 20 pollici e altoparlanti stereo; sul pavimento moquette “vip” e attorno “opere d’arte”. All’angolo “nanna”, secondo il progetto, si accede attraversando un salottino con divano e monitor da 32 pollici.
E lo staff del premier? La domus aurea volante prevedeva spazi anche per collaboratori, segretari, e chi più ne ha più ne metta: tavolone da 10 posti, poltrone in pelle e due monitor da almeno 40 pollici.
Tutto bello e comodo, ma un volo transoceanico può annoiare. E allora? Spazio all’intrattenimento: diritti per film internazionali, nazionali, documentari, monografie. Ma un film di Veltroni può indurre sonnolenza… e allora spazio a videogiochi e connessioni di rete. La spesuccia annua per tutto il comparto “intrattenimento” ammontava a 7 milioni e 400mila euro. All’anno.
Non male.
Questa vagonata di soldi buttati all’aria (in tutti i sensi) è stata messa sotto i riflettori dal quotidiano La Verità: nel numero in edicola ieri, martedì 6 febbraio, il giornale diretto da Maurizio Belpietro ha ripreso le carte dell’indagine condotta dal mortarese Stefano Martinazzo su incarico della Procura di Civitavecchia.
Segugio contabile, responsabile del team che si occupa del contrasto alla criminalità economica e aziendale della società investigativa Axerta. Nello scorso mese di novembre, Martinazzo aveva scoperto come l’imprenditore torinese Marco Di Nunzio avesse realizzato il testamento “patacca” di Silvio Berlusconi, il cosiddetto “testamento colombiano”.
Stefano Martinazzo ha maturato oltre vent’anni di esperienza come fraud auditor e Consulente Tecnico dell’AG, dapprima presso il dipartimento di Forensic Accounting & Litigation di KPMG Advisory S.p.A., poi presso la società JNP Forensic S.r.l. e, successivamente, presso AXERTA S.p.A.
Il mortarese non è nuovo a indagini di questo tipo: si ricorda il suo ruolo di primo piano nella famigerata questione dei 49milioni di euro della Lega Nord, dei diamanti in Tanzania e della laurea albanese del “trota” alias Renzo Bossi.
Stefano Martinazzo ha alle spalle ha una Laurea in Economia bancaria, finanziaria e assicurativa alla Cattolica, Dottore commercialista iscritto all’Ordine di Milano, componente delle commissioni del medesimo Ordine “Governance delle Società Quotate” e “Ausiliari del Giudice Penale” e Revisore legale dei conti iscritto al registro del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Dallo scorso luglio fa parte del gruppo di lavoro voluto dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia per fornire un supporto sul giornalismo d’inchiesta.
In 117 pagine, Martinazzo snocciola cifre e numeri di un quadro a tinte fosche. Ma non basta, a fare chiarezza ci provano anche le quasi 2mila pagine di allegati.
La complessa indagine, che il commercialista mortarese ha portato avanti a cavallo tra il 2020 e il 2021, porta alla luce i dettagli di una “pazza voglia” dell’ex premier. Un affare che unisce Italia agli Emirati. L’Airbus 340/500, fortemente voluto nel 2016, oggi marcisce a Fiumicino.
A spegnere i motori dell’Air Force Renzi fu il governo Lega-M5s che mandò all’aria non l’aereo, ma il contratto di noleggio che impegnava il governo a sborsare 167 milioni di euro in 8 anni.
Cifre folli per un aereo già… vecchio, fuori produzione dal 2011.
Nel marzo del 2007 la compagnia Etihad, già azionista di maggioranza di Alitalia, cede a una società con sede alle Cayman l’aeromobile per poi riprenderselo a noleggio In circa 8 anni, l’aereo stacca le ruote da terra solo 18 volte.
Insomma, per il governo italiano rappresentava un usato garantito.
Nel 2016 Etihad lo riacquista solo dopo aver ottenuto da Alitalia 25 milioni di euro come maxi anticipo sul leasing da 25 milioni, una cifra che doveva corrispondere al 50% del valore dell’airbus. L’indagine però evidenzia che il valore reale fosse la metà del valore “nominale”, in pratica l’aereo valeva quei 25milioni anticipati dalla compagnia di bandiera italiana.
L’operazione, è evidente, è stata fatta per togliersi di mezzo il rapporto diretto Italia – Cayman.
“L’analisi dei messaggi di posta elettronica – si legge nelle carte dell’inchiesta - ha fatto emergere che all’inizio di maggio 2016, a pochi giorni dalla firma del contratto di sub-leasing numero 808 del 17 maggio 2016, i rappresentanti del ministero della Difesa, contrariamente all’orientamento sempre tenuto in precedenza, hanno chiesto ad Etihad di valutare la vendita del velivolo in luogo del noleggio, ottenendone la disponibilità ad un prezzo di 30/35 milioni di dollari. Prezzo nettamente inferiore al valore contrattuale attribuito all’A340 (pari a 58 milioni). - prosegue la relazione - La differenza tra questi valori non poteva passare inosservata e non poteva che essere stata oggetto di attenta valutazione da parte dei vertici del ministero della Difesa, coinvolti nelle contrattazioni con Etihad”.
Cifre alla mano, il governo Renzi tirò diritto, quasi fosse consapevole di farsi fregare. O con la consapevolezza che, almeno per qualcuno, l’affare c’era. Eccome se c’era.