MORTARA - Rassegnazione, tristezza, delusione e rabbia sono i sentimenti che in questo momento provano i baristi e i ristoratori di Mortara e della Lomellina, costretti dalla zona rossa a dover tenere chiusi i locali almeno fino al 31 gennaio. Certo, vi è la possibilità di effettuare l’asporto fino alle 22 per i ristoranti e fino alle 18 per i bar, ma la voce qui è unanime: l’unico modo per lavorare veramente è il servizio ai tavoli. I ristoratori, ormai da un anno, sono costretti a fare i fattorini, e dove prima c’era la speranza oggi c’è solo un senso di profondo sconforto. Se il 2020 è stato un anno “disastroso”, il 2021, se si andrà avanti a suon di chiusure, sarà un anno “apocalittico”. Lo affermano tutti, e l’appello delle attività chiuse per Covid si fa sempre più urgente. Le richieste sono essenzialmente due: tornare a lavorare e annullare le tasse, che per ora sono state soltanto rinviate a marzo. “Sulle nuove misure – dichiara perentorio Davide Palestro, titolare del Ristorante Il Cuuc – non ho commenti da fare. Mi restano soltanto le imprecazioni. La risalita, se andremo avanti così, sarà per pochi, lunga e dolorosa. Me l’aspettavo il ritorno in zona rossa, ma avevo previsto che a marzo si potesse tornare alla normalità. Ora non ne sono più tanto sicuro”. Narciso Bonazzoli, titolare del Ristorante Torino, propone invece una differenziazione per province, di modo tale che i piccoli comuni come Mortara non vengano colpiti allo stesso modo delle grandi città come Milano. “Se il governo avesse considerato una suddivisione in zone su base provinciale e non regionale, nelle province più virtuose si sarebbe potuto provvedere a riaprire i ristoranti. Nelle province più colpite, invece, le attività chiuse avrebbero potuto usufruire di ristori più congrui e adeguati alle esigenze del momento”. A rincarare la dose ci pensano gli altri ristoratori. “La zona rossa per noi è l’ennesima mazzata – esclama Raimondo Lopresti, titolare del Ristorante-pizzeria Santa Lucia – perché ormai è da un anno che andiamo avanti così. Prima o poi dovremo pur imparare a convivere con il virus. Il governo vuole far credere a tutti che noi ristoratori siamo gli untori dell’Italia, ma non è così. Ormai questo dovrebbe essere chiaro anche dal semplice fatto che nonostante i ristoranti siano chiusi, la curva dei contagi continua a salire. È evidente che impedire a noi di lavorare non ha portato a un miglioramento della situazione a livello sanitario. Stare chiusi è deleterio e i ristori non servono a niente. Ci piacerebbe davvero tanto vedere gli ospedali vuoti come il nostro locale in questo momento”. Mentre i ristoranti mortaresi hanno la possibilità di fare quel poco che viene loro concesso con l’asporto e il domicilio, c’è chi ha più difficoltà. Un esempio è Roberta Costagliola, titolare del Ristorante Cascina Bovile, a Ceretto Lomellina. “Come si può anche soltanto pensare di proporre l’asporto in un paesino di 184 abitanti? A chi lo facciamo l’asporto? Veniamo trattati alla stregua dei ristoranti delle grandi città. Noi però siamo a Ceretto, non a Milano. Tenere aperto il locale solo per fare due risotti al giorno non vale nemmeno la pena. Finché non torneremo in zona gialla per noi sarà impossibile lavorare. Il bello è che avevamo pure tolto alcuni tavoli, creato nuovi spazi, sostenuto ingenti spese, e poi siamo stati chiusi. Quel poco di elemosina che arriva dallo Stato poi tornerà allo Stato con le tasse e noi purtroppo non ci potremo fare nulla. Abbiamo quest’attività da 25 anni e se coleremo a picco a suon di decreti reinventarci adesso sarà molto difficile. La situazione è nera: chi ha un lavoro se lo tenga ben stretto”. Il nuovo Dpcm, oltre ad aggravare i danni per il comparto della ristorazione, peggiora ulteriormente la situazione anche per i bar, che ora non possono più effettuare l’asporto dopo le ore 18. “Sinceramente – rivela Andrea Maltese (nella foto insieme al papà Salvatore), titolare del Caffè Garibaldi – non mi aspettavo dopo un anno di chiusura di trovarmi ancora al punto di partenza. Pur avendo chiuso i nostri locali, i contagi sono aumentati esponenzialmente. È chiaro che la colpa non è nostra e che la scelta politica di non farci lavorare è un continuo colpo ingiustificato ai danni della ristorazione. A livello nazionale, ma anche a livello regionale, c’è una generale mancanza di programmazione. Oltre che ad essere pesante, la situazione ora si fa anche lunga e stancante, perché ormai siamo stati privati della facoltà di fare progetti a lungo termine. In questi giorni abbiamo deciso a malincuore di chiudere fino a quando non terminerà la zona rossa, perché facendo un calcolo dei costi e dei ricavi abbiamo valutato che non ci conviene tenere aperto soltanto per l’asporto. Il modo in cui vengono formulati i Dpcm, purtroppo, è profondamente sbagliato: si ragiona su larga scala, e i piccoli paesi vengono trattati come se fossero grandi città. Noi siamo i primi a dire che la salute viene prima di tutto, ma bisogna anche riconoscere che i politici ci stanno facendo a pezzi economicamente, quando invece potremmo riaprire in piena sicurezza. Chi scrive i decreti forse si dimentica di avere a che fare con degli esseri umani. In questo momento di grande difficoltà, poi, ci mancava soltanto la crisi di governo. Un altro gesto di irresponsabilità che pagheremo tutti”. Massimiliano Farrel