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VIGEVANO – C’era una volta il manifatturiero… Da Confartigianato Imprese Lomellina arriva il grido d’allarme: il tracollo dell’export trascina a fondo il settore manifatturiero e fa retrocedere Pavia in coda a tutte le province lombarde. Nei primi nove mesi del 2021 rispetto allo stesso periodo pre-pandemia l’export, punto di forza del sistema manifatturiero, registra un crollo a doppia cifra: -10,5%. Un dato preoccupante, in netta controtendenza rispetto al resto della regione dove il trend è quello del recupero e si registra un aumento del 5,2%. E i venti di guerra che soffiano dall’Ucraina non possono che fare aggravare le preoccupazioni degli imprenditori.Va addirittura peggio ai settori a forte incidenza di piccole e medie imprese: moda, legno, arredo, metalli, alimentari e altra manifattura affondano sotto il peso di una flessione del 31,2% (dinamica opposta al +2,1% della media Lombardia).“Qualcosa non si muove nel modo corretto – commenta il presidente di Confartigianato Lomellina, Luigi Grechi (nella foto) – È evidente che siamo in presenza di una recessione che colpisce mercati da sempre fondamentali per il territorio, il cui pesantissimo rallentamento rischia di impoverire l’intero sistema economico”. Come reagire? “Dobbiamo ascoltare i mercati, raccoglierne le richieste e comprendere che negli ultimi due anni hanno affrontato cambiamenti radicali, ai quali le nostre imprese devono adattarsi con la massima sollecitudine, riorganizzando i processi e i prodotti, creando legami più stretti con i fornitori e con i clienti e avviando processi di internazionalizzazione più professionali, guidati da esperti, supportati dalla conoscenza dei Paesi destinatari dell’azione commerciale, e dalla capacità di negoziare”.Una sorta di rivoluzione copernicana che impone tempi rapidi convinzione, formazione e supporto per restituire ossigeno alle aziende e benessere al territorio.”È un indicatore chiaro: - questa l’analisi di Grechi - qualcosa, nelle nostre produzioni, nell’approccio alla clientela nei due anni trascorsi senza fiere, e nello stesso sistema di internazionalizzazione non funziona più. Parte della responsabilità è probabilmente delle imprese, ma occorre che anche il territorio faccia la sua parte e torni ad essere attrattivo per i capitali e nel sostegno alle aziende, con azioni di promozione del made in Lomellina e made in Pavia”.In chiaroscuro anche tutti gli altri indicatori congiunturali, a cominciare dal numero di imprese presenti in provincia, in crescita rispetto all’annus horribilis del Covid, ma in flessione rispetto al 2019. Segno, anche qui, che una boccata d’ossigeno è arrivata, ma non è stata sufficiente. Il numero di start up registrate nel 2021 non supera quello del 2019, -344, pari a una flessione del 12,5%, ben più rilevante di quella regionale (-1,9%). A livello settoriale si osserva che il numero di start up, nel 2021 rispetto al 2019, registra una forte riduzione nel manifatturiero (-37,2%, maggiore del 20,8% perduto a livello regionale) e nei servizi (-13,4% contro il +0,7% media regionale) mentre cresce nelle costruzioni (+6,2%) ma con un traino dei bonus edilizi meno impattante rispetto al resto della regione (+16,5%). Per tutte queste ragioni, nella classifica con le altre province lombarde Pavia figura tra quelle che hanno registrato, rispetto al 2019, riduzioni più importanti (e preoccupanti) del numero di iscrizioni nel manifatturiero e nei servizi.“Non mi sfugge – registra il segretario generale, Roberto Gallonetto – la grave sofferenza del settore manifatturiero, il cui tessuto economico, senza nuovi ingressi, rischia di impoverirsi fino ad implodere”. Una eventualità che è necessario contrastare con ogni strumento. Come? «Supportando l’autoimprenditorialità, - chiarisce Gallonetto - anche con opportuni interventi di defiscalizzazione, sostenendo la costituzione di Its in grado di generare professionalità altamente qualificati e rafforzando l’attrattività territoriale: nessuno pensi che il ritardo nella infrastrutturazione, di cui paga un prezzo altissimo la Lomellina, non si riverberi in modo prepotente sul tessuto economico”.Insomma, è bene che il territorio e tutte le sue componenti si muovano per agganciare le altre province, mettendo a disposizione delle aziende servizi efficienti, infrastrutture per il trasporto rapide e competitive e sistemi fiscali incentivanti. Il rischio è la desertificazione produttiva.Altro elemento negativo sul quale occorre intervenire, attraverso percorsi formativi sempre più mirati, è il mismatch occupazionale, con domanda e offerta che non si incontrano e competenze fondamentali (legate perlopiù alla digitalizzazione e alla transizione sostenibile) praticamente introvabili. La difficoltà nell’immettere in azienda figure professionali adeguate ai cambiamenti in atto a gennaio 2022 viene segnalata al 41,1% (rispetto al 37,9% regionale), quota superiore di 3 punti rispetto a quella di gennaio 2020 (38,1%).Le figure più difficili da trovare a inizio anno risultano il personale non qualificato nelle attività industriali e assimilati; gli operai specializzati e i conduttori di impianti nell’industria alimentare; i cuochi, i camerieri e le altre professioni dei servizi turistici; i tecnici dei servizi turistici, culturali e per la sicurezza; i tecnici della sanità, dei servizi sociali e dell’istruzione; gli operai specializzati nell’edilizia e nella manutenzione degli edifici; gli operatori della cura estetica; i tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione; i progettisti, gli ingegneri e le professioni assimilate.“Serve uno sforzo complessivo per riavvicinare la cultura del lavoro tra i giovani - aggiunge Gallonetto - Gli istituti scolastici devono proporre un’offerta formativa il più possibile collegata alle esigenze delle imprese che si trovano sul territorio”