Omicidio di Ibrahim Mansour, accusati gli ex cognati: tre arresti
CILAVEGNA – Una vendetta tra ex cognati. Era stata la primissima ipotesi degli inquirenti, poi momentaneamente accantonata per concentrarsi sul brutto e violentissimo giro di spacciatori di droga nordafricani ben presente nelle campagne intorno a Vigevano. Si temeva che l’ucciso, descritto da molti come “una brava persona”, per motivi di difficoltà economiche avesse avvicinato compagnie sbagliate e avesse commesso un errore fatale. In realtà, quella familiare era la pista giusta: i carabinieri del Comando provinciale di Pavia, al termine di una per niente facile indagine che ha miscelato tecnologia e sopralluoghi mirati, hanno ricostruito come a uccidere l’11 gennaio scorso il 43enne egiziano Ibrahim Mohamed Mansour sarebbero stati Massimo e Claudio Rondinelli, 34 e 39 anni, i due fratelli della sua ex fidanzata, che da Ibrahim aveva avuto una figlia quando lei era ancora minorenne. Successivamente si era allontanata da Cilavegna con il nuovo compagno e la figlia era rimasta con lei.
Un vero e proprio agguato con esecuzione: contro il 43enne sono stati sparati (così ricostruisce la Procura della Repubblica di Pavia che aggiorna sullo stato delle indagini) almeno tre colpi di fucile da caccia calibro 12 e da un colpo di pistola calibro 9. Poi da Cassolnovo, il luogo del delitto, il cadavere è stato infilato all’interno dell’Audi A3 di proprietà della vittima, portato in una zona remotissima di campagna a circa 15 chilometri, nel territorio comunale di Gambolò, non lontano dalla frazione Morsella di Vigevano, e dato alle fiamme insieme al veicolo. Verrà ritrovato soltanto tre giorni dopo, per caso, da un cacciatore. Significa che il luogo era stato scelto bene: uno spiazzo nascosto, dove non passa mai nessuno, lontano da tutto, per far sì che ci si accorgesse del fatto il più tardi possibile. Lo stesso cacciatore aveva chiamato i vigili del fuoco per far rimuovere l’auto, ignorando che dentro ci fossero resti irriconoscibili di un uomo.
Proprio intorno all’affidamento di questa bambina sarebbe maturato il delitto. Insieme ai due fratelli Rondinelli avrebbe agito Luigi D’Alessandro, 37 anni, compagno di una sorella della donna. Quel giovedì, il terzetto aveva teso una trappola alla vittima nel capannone di Cassolnovo, non lontano dalla provinciale 192. Mohamed viveva nella struttura dopo la separazione dalla ragazza, arrivata dopo un periodo di frequenti litigi. La famiglia, unita, si era schierata contro l’egiziano. Il movente del delitto, comunque ancora da chiarire, sarebbe da ricercare nel fatto che il 43enne voleva che la famiglia Rondinelli gli intestasse della proprietà per poter chiedere l’affidamento della figlia: cosa che nessuno sembrava essere disposto a fare.
Massimo e Claudio Rondinelli e Luigi D’Alessandro, i cui arresti sono stati eseguiti tra Cilavegna, Vigevano e la Basilicata (luogo di origine della famiglia), sono stati condotti in carcere nella primissima mattinata di ieri, martedì. Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Pavia ha ritenuto sussistenti i “gravi indizi di reato” per l’omicidio di Ibrahim Mohamed Mansour. Un’indagine difficile, per la quale sono state necessarie intercettazioni telefoniche ed analisi di dati del traffico telefonico e telematico, per verificare la fondatezza – o meno – delle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti. La famiglia Rondinelli era stata interrogata da subito, soprattutto dopo il ritrovamento dell’Audi. Gli inquirenti avevano poi sequestrato il capannone di Cassolnovo, il luogo del delitto nel frattempo ripulito. Era l’ultima dimora dell’egiziano, e prima ancora i Rondinelli lo usavano per il loro commercio di frutta.
I carabinieri del nucleo investigativo, con l’ausilio di strumenti tecnici all’avanguardia e grazie anche ad attività di osservazione e controllo e col supporto dei cani molecolari per la ricerca di armi, esplosivi e tracce ematiche e resti umani del nucleo cinofilo dell’Arma, sono riusciti a ricostruire con chiarezza la dinamica ad appena un mese dalla tragedia.
“Le indagini fin qui condotte – chiarisce la Procura della Repubblica di Pavia – continueranno senza sosta al fine di avere conferma, o meno, delle responsabilità degli arrestati e di verificare l’eventuale coinvolgimento di altri soggetti”.