Profughi e accoglienza: un affare per pochissimi e disagi per i disperati che cercano una speranza
Il disinteresse e il menefreghismo verso tutto ciò che succedeva all’interno dei centri di accoglienza come costanti. È questo il quadro impietoso con cui gli ex dipendenti descrivono l’atteggiamento di Fabio Garavaglia, presidente della cooperativa Faber, il quale gestisce numerosi centri di accoglienza straordinari e comunità di minori stranieri non accompagnati in provincia di Pavia. Il racconto di Daiana Castro, mediatrice prima e coordinatrice poi della comunità di Cozzo, è emblematico: dopo sole due settimane dall’assunzione, si è ritrovata insieme ai suoi colleghi a gestire la tragica vicenda di Emil, bambino autistico di 8 anni, originario dell’Azerbaigian, morto in un tragico incidente avvenuto all’interno della struttura. Un’altra storia significativa è quella di Roberta Rondinella, cui spettano ancora 13.000 euro di arretrati. Infine, la testimonianza di Blanca Severino, che denuncia “una situazione al limite della civiltà e umanità”. “Il 5 gennaio del 2020 – inizia a raccontare Daiana Castro – sono stata assunta come mediatrice presso la comunità per minori di Cozzo. La situazione, fin da subito, è stata drammatica. Gli stipendi arrivavano in ritardo, alcuni muri erano ricoperti di muffa, la struttura si trovava nel degrado. Abbiamo segnalato fughe di gas diverse volte, ma il problema non è mai stato risolto. Anzi, molto spesso i tecnici non uscivano nemmeno più perché non venivano pagati. Andavamo noi a comprare cibo e medicinali con i soldi della cassa”. Oltre all’interruzione delle forniture, la ex dipendente racconta che a fare le pulizie era una sua collega. Non c’era, infatti, una figura addetta alla pulizia degli ambienti comuni, anche se da contratto risultava. “In inverno – prosegue Daiana Castro – bimbi anche di 5 mesi si lavavano con acqua gelata perché Garavaglia non pagava le bollette. In struttura si trovavano due cani, Willy e Gordon. Uno dei due aveva un’indole aggressiva e noi dovevamo stare dietro pure ai cani”.
“Il 19 gennaio – continua la ex dipendente – dopo sole due settimane dal mio arrivo in comunità, è morto Emil. Al momento dell’incidente si trovava in struttura soltanto il custode, che era un rifugiato politico senza documenti a cui era stato dato un contratto, e un’altra mia collega. Entrambi non erano educatori. Emil non doveva trovarsi lì: era un bambino autistico di terzo livello, per cui doveva essere in un centro abilitato per bambini autistici. L’incidente è avvenuto alla sera, verso l’ora di cena. In struttura doveva esserci una cuoca, ma in verità questa figura non c’era proprio. Si cucinava a turni, e la madre di Emil si era recata in cucina verso le 19 e 30 per preparare da mangiare, convinta che il suo bimbo fosse addormentato. In quel momento di assenza, il bambino, ancora sveglio, è morto soffocato. Il cappuccio della sua felpa è rimasto impigliato nella maniglia della finestra mentre si sporgeva sul davanzale”.
A nulla è servito il rapido intervento dei colleghi presenti in struttura. “Sono diventata coordinatrice della comunità dopo un anno – conclude Daiana Castro – e la situazione era molto complicata da gestire. Spesso le famiglie non andavano d’accordo tra di loro e alcuni si picchiavano, si aggredivano. Ci siamo rivolti più volte alla prefettura, che era a conoscenza di tutto”. L’esperienza della ex dipendente presso Faber si è conclusa a ottobre del 2022. “Ad agosto 2020 – racconta invece Roberta Rondinella – sono stata assunta come educatrice. Sono rimasta in Faber fino a novembre 2022, prima presso la comunità l’Airone di Palestro, poi per pochissimo in Fenice a Robbio. All’inizio arrivava tutto regolarmente, poi da gennaio 2021 sono cominciati i ritardi. Sono andata via con sei mesi di stipendio di arretrati, per un totale di 18.000 euro. Ora ne ho recuperati 5.000. La situazione era molto critica. Il coordinatore di Palestro era un assistente sociale non iscritto all’albo. Spesso stavamo senza gas e abbiamo segnalato più volte termosifoni rotti che perdevano. Siamo rimasti cinque mesi senza piastrelle del pavimento in bagno. Noi non abbiamo mai fatto attività con i ragazzi. Qualche volta in estate andavamo in piscina, spendendo 5 euro a ragazzo per la tessera. Le volte dopo il titolare ci faceva andare gratis. Lavoravo il più delle volte 190 o 200 ore al mese. Giorni di riposo quasi non ne avevo, e mi è capitato pure di lavorare quando ero in maternità”. La ex dipendente racconta che per un periodo di tempo si trovavano all’Airone 19 ragazzi, mentre la struttura ne poteva accogliere al massimo fino a 10.
“In data 2 agosto 2021 – racconta infine Blanca Severino – sono stata assunta come educatore professionale presso la comunità l’Airone di Palestro, e fin da subito ho visto lacune nella gestione del personale. Nei primi mesi i ragazzi avevano il minimo necessario per vivere sereni, ma continuavano ad arrivare a tutte le ore disparate della notte nuovi ingressi. Urgenza uguale a guadagno, quindi inserimento immediato senza tenere conto delle stanze e dei posti letto. La capienza massima era di 12 ragazzi, peccato che ne avevamo 19. I generi di prima necessità scarseggiavano, e oltretutto si era arrivati al punto di bloccare le paghetta ai ragazzi. Non c’erano soldi per fare il pieno al pulmino che permetteva ai ragazzi di andare a scuola, o di prendere il treno per chi aveva l’autonomia, quindi veniva chiesto a noi operatori di usare le nostre auto. In struttura erano presenti anche operatori pericolosi che urlavano, minacciando non solo i ragazzi ma anche i colleghi”. In data 4 marzo 2022 Blanca Severino ha terminato il rapporto di lavoro con normali dimissioni.
Massimiliano Farrell