Un «giallo» di riso: lo «spione» Thomas Jefferson in missione per scoprire i segreti lomellini
Era il 1784 quando Thomas Jefferson iniziò a interessarsi del riso della Lomellina: fu una vera e propria azione di spionaggio agricolo da parte di uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, di cui sarà terzo presidente dal 1801 al 1809. Il suo obiettivo era rafforzare le esportazioni del riso americano sul mercato francese ai danni del prodotto del Regno di Sardegna, di cui allora la Lomellina era una provincia con capoluogo Mortara. Quella avventurosa missione europea è ricostruita, 240 anni dopo, da Flavio Barozzi, presidente della Società agraria di Lombardia e agronomo a Confienza. Una premessa, però, è d’obbligo per inquadrare il contesto storico.
La vicenda ricostruita da Flavio Barozzi s’inserisce in un periodo cruciale per la storia dell’Europa e dei neonati Stati Uniti. Un anno prima, nel 1783, si era conclusa la Guerra d’indipendenza americana iniziata nel 1775 dalle tredici colonie contro la Gran Bretagna. Una struttura statale definitiva arriverà solo con la Costituzione del 1777-1778 e l’elezione del primo presidente, George Washington, nel 1789.
Nel 1784 Jefferson, nominato ambasciatore in Francia, assiste alle trattative commerciali condotte da Benjamin Franklin e John Adams per ammettere il riso americano nel mercato francese alle stesse condizioni del riso della Lomellina, del Vercellese e del Novarese, che beneficiava di concessioni doganali da parte dei francesi. “In quell’occasione Jefferson, che è stato anche uomo di scienza, botanico e agronomo – spiega Barozzi – Franklin e Adams non riescono a convincere il governo del re di Francia, ma Jefferson, che rimarrà a Parigi fino al 1789, anno in cui scoppierà la Rivoluzione francese, non demorde e tornerà alla carica tre anni dopo. Nella primavera del 1787 intraprende un viaggio che inizialmente avrebbe dovuto fermarsi oltralpe, ma che troverà una prosecuzione nell’Italia settentrionale su suggerimento dell’amico novarese Gaudenzio Clerici.
È tutto inserito nel racconto «Viaggio nel Sud della Francia e nel Nord dell’Italia», in cui Jefferson vi appare come attento studioso di questioni agrarie, tanto che la ragione principale del viaggio è “l’interesse per la coltivazione del riso nella pianura padana”, oltre la scoperta di vini e altri prodotti alimentari”.
C’è, però, un obiettivo nascosto: entrare in possesso, con ogni mezzo possibile, di qualche piantina di risone, riso grezzo ancora da lavorare, da portare in America per confrontarlo con quello della varietà Carolina, coltivata nell’omonimo Stato. Jefferson decise di intraprendere una vera e propria missione di spionaggio non industriale, ma agricolo. A Marsiglia, dove arriva il riso di importazione dalle risaie piemontesi, cerca di comprenderne i segreti e anche perchè sia favorito rispetto a quello della Carolina. I risicoltori americani e lo stesso corpo diplomatico in Francia sono convinti che il segreto risieda nelle metodologie di gestione agricola adottate dai piemontesi. Per capirne di più, Jefferson intraprende un viaggio nel Regno di Sardegna partendo il 12 aprile da Nizza, dove farà ritorno il 4 maggio. Attraversa la pianura risicola piemontese, da Vercelli a Novara e alla Lomellina: uno dei suoi contatti è il novarese Gaudenzio Clerici, che era stato ospite nella sua casa di Monticello (nome originale italiano usato da Jefferson), in Virginia. In questo viaggio Jefferson comprende che la sostanziale differenza fra il riso piemontese e quello americano non risiede nei modelli di gestione agricola, ma nella varietà genetica. Alla fine del Settecento il Regno di Sardegna proibiva l’esportazione del risone al di fuori dei confini nazionali, reato per cui il codice penale prevedeva addirittura la morte. Malgrado questo rischio, Jefferson riesce comunque a impadronirsi di un sacco di risone da contrabbandare negli Stati Uniti passando dal porto di Genova. “Poggio, un mulattiere che passa ogni settimana tra Vercelli e Genova – scriverà nelle sue memorie – contrabbanderà per me un sacco di riso grezzo a Genova, perché è vietato esportarlo in quella forma”. Ma l’intraprendente Jefferson, temendo l’insuccesso di Poggio, si trasforma egli stesso in contrabbandiere nascondendo alcuni chili di risone nel proprio bagaglio. La missione segreta avrà successo, anche se solo parziale. Al suo ritorno viene acclamato come un eroe dai risicoltori della Carolina, che però non saranno in grado di utilizzare il riso della Lomellina e delle altre province piemontesi. Così gli americani continueranno a coltivare la varietà “Carolina”, riso dal grano lungo, cristallino e sottile, meno apprezzato a quei tempi rispetto al grano grosso e tondeggiante del riso del Piemonte.
Il resoconto di Jefferson fornisce notizie interessanti sulla risicoltura dell’epoca. “Nel suo volumetto – riferisce Barozzi – si legge che le risaie cominciano nel Vercellese, ma si estendono attraverso la Lomellina oltre Milano e Pavia. Il riso è coltura di pregio tanto che dodici libbre si vendono a 16 lire, mentre la stessa quantità di granoturco si vende a 9 lire. Il futuro presidente degli Stati Uniti scrive poi che “la stessa estensione di terra rende tre volte in riso ciò che renderebbe in grano”.
Inoltre, ci informa che l’agricoltura padana era considerata esempio di successo da studiare e che la «grande qualità del riso esportato soprattutto in Francia» deriva proprio dalla qualità delle sementi”.
Umberto De Agostino