Da 50 anni è un uomo per gli altri. Don Felice Locatelli festeggerà domenica prossima, 14 novembre, il 50esimo anniversario di ordinazione sacerdotale dopo la Messa delle 11 e 30.Classe 1947, don Felice Locatelli è stato ordinato sacerdote il 13 novembre 1971. Ma un anniversario... tira l’altro: nel 2022, don Felice taglierà il traguardo dei 30 anni alla chiesa dei Frati. Qui ha saputo farsi volere bene da moltissime persone, diventando un punto di riferimento per molti mortaresi e raccogliendo l’eredità lasciata dai francescani per continuare a costruire una comunità in cammino. Il sacerdote è sì un uomo dell’obbedienza, ma è anche un uomo in cammino. Un uomo che sta in prima fila, che guida la sua comunità “come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte”. Originario di Cergnago, figlio unico, il giovanissimo don Felice è entrato in seminario in prima media. “Frequentavo la seconda o la terza elementare e a Cergnago morì il prete. Erano tempi in cui i parroci restavano nella parrocchia per una vita intera… e così arrivò don Luciano. – ricorda don Felice Locatelli – Tutti i giovani legarono immediatamente con il nuovo e più giovane parroco e tutti andavano a fare i chierichetti. Tutti tranne il sottoscritto. – ride – Mio vicino di casa era infatti don Teresio e anche lui, ovviamente prima, faceva il chierichetto e poi andò in seminario… io ero convinto che servire Messa fosse il primo passo verso il sacerdozio e proprio non volevo fare il prete!”. Stranezze della vita. Ovviamente il giovanissimo don Felice si becca una lavata di capo dalla madre che aveva parlato con il parroco e don Luciano non aveva mancato di fare notare come il giovane di casa Locatelli non volesse fare il chierichetto. Alle insistenze della madre, il futuro sacerdote rispose in maniera lapidaria: “Io non voglio fare il prete!”. E due anni dopo entrava in seminario…“Non ho avuto pressioni di alcun tipo, fu una mia libera scelta. – prosegue don Felice Locatelli – Mio padre era molto contento, stravedeva per lo studio. Mia madre, beh… non ci credeva troppo! In prima media eravamo 15 seminaristi, ma solo in due siamo arrivati a dire Messa”. L’altro è don Gianfranco Zanotti, anch’egli classe ‘47, già parroco di San Lorenzo e vicario generale della diocesi. Don Felice studia presso il seminario vescovile di Vigevano, poi il vescovo Barbero lo manda un anno a Novara e due anni a Pavia. Terminati gli studi arriva il momento dell’ordinazione: è il 1971. Sono gli anni della protesta giovanile. Della fantasia al potere, dell’eskimo e del ciclostile, dei collettivi, delle assemblee permanenti, dell’autogestione. Sono anni in cui il vento della ribellione giovanile soffia sul fuoco di una rivoluzione culturale che pretende di cambiare il mondo. In questo clima, il 24enne don Felice Locatelli viene ordinato sacerdote. Ma anche la Chiesa aveva avuto la sua rivoluzione: nel ‘65, infatti, si era concluso il Concilio ecumenico Vaticano II. La cosiddetta primavera conciliare aveva portato con sé lo stravolgimento della liturgia, non solo per la celebrazione della Messa nella lingua volgare. “Erano gli anni della protesta e del post Concilio. – ricorda ancora don Felice – Penso di essere stato uno degli ultimi ad abbandonare l’uso della talare. Ma fuori dal seminario c’era la contestazione giovanile e proprio a Vigevano andava formandosi il gruppo dei giovani di don Comelli. Noi seminaristi risentivamo un po’ di questo clima: avevamo un’avversione per il Diritto canonico… come eravamo ingenui, l’esperienza ce lo ha insegnato!”. Dopo l’ordinazione viene mandato a Cassolnovo, come curato. “All’epoca i curati – ride – erano carne da macello!”. Qui resta per tre anni. Oltre all’attività di curato, riesce a trovare il tempo per lo studio. Si iscrive all’università e lo fa di nascosto sia dal parroco che dal vescovo. Si iscrive alla facoltà di Filosofia all’ateneo di Pavia. Off limits l’università Cattolica di Milano: per iscriversi all’università fondata da padre Gemelli, infatti, era necessario il nulla osta del vescovo e il nuovo vescovo di Vigevano, monsignor Mario Rossi, concedeva il benestare soltanto a quanti sceglievano un indirizzo teologico.“Filosofia era la roccaforte della contestazione! – ricorda don Felice – Era impensabile avere il nulla osta del vescovo. Frequentavo nell’unico giorno libero che avevo, poi riuscivo restare al passo con il programma grazie agli appunti che mi passavano i compagni di corso. Dagli insegnati ho avuto una grande lezione di tolleranza, anche se nel programma di studio Sant’Agostino aveva lasciato il posto a Carlo Marx! Ma gli anni erano quelli… e anch’io avevo una forte ammirazione per quei preti che lavoravano come le persone “normali”: ovviamente era un utopia che ho capito con il passare del tempo”. Ma visto che le bugie hanno le gambe corte, il parroco di Cassolnovo scopre le sortite pavesi del suo curato. E la tirata d’orecchi è inevitabile. “Don Rino Bai, nella mia esperienza a Cassolnovo, mi ha trasmesso grandi insegnamenti. – ricorda il sacerdote – E dopo più di due anni di università, ha scoperto che frequentavo le lezioni di nascosto. Una sera, di punto in bianco, mi chiede come era andato l’ultimo esame. Ci sono rimasto di sasso. E dopo avermi rimproverato per non averlo informato della mia scelta, mi ha preparato una torta per festeggiare l’esame appena superato”. E dopo appunto tre anni arriva il momento di lasciare Casolnovo. Il vescovo Mario Rossi lo manda a fare il parroco a Velezzo. Qui rimane per 18 anni. E nei primi 9 anni associa anche l’incarico di curato di San Giorgio, mentre nei secondi 9 anni è alla guida anche della parrocchia di Semiana.Nel maggio del 1992 don Felice Locatelli arriva al Santuario di Sant’Antonio, in quella che per tutti i mortaresi è “la chiesa dei frati”. Il resto è storia recente. “Dove vado cerco di creare una sorta di nido ideale, dove potermi trovare bene. – prosegue don Felice – Qui a Mortara ho trovato gente molto disponibile, forse è l’eredità che mi hanno lasciato i frati francescani! Sono in questa comunità da ormai 30 anni e non posso che essere felice di essere sopravvissuto ai cambiamenti che hanno terremotato la Diocesi in questi ultimi anni”. Ma don Felice rifarebbe tutto? “In 50 anni – spiega – almeno 50 volte mi sono mangiato le mani per essere diventato prete e almeno 5mila volte ho pensato di ritenermi fortunato per essere diventato prete, per aver accettato l’invito del Signore”. E se il futuro porta verso la pensione, don Felice non ha dubbi nel rimandare questo scenario il più possibile. “Io in pensione? Ci sto andando in maniera insensibile. – sorride – Ogni anno mi prendo cinque giorni di ferie per andare a Sanremo. Il programma è sempre quello: mattino in bici e pomeriggio al mare, da lunedì a sabato. Ma quando arriva mercoledì ho già voglia di tornare…” Già perché don Felice Locatelli sta troppo bene a Mortara, in mezzo alla sua gente. E la sua gente sta altrettanto bene con lui