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MORTARA – “Io vorrei sapere come mai quei sassi bruciano”. Così don Camillo s’interrogava davanti alla vecchia bicocca abbandonata che “inspiegabilmente” stava bruciando (assieme all’arsenale di Peppone...). E lo stesso interrogativo devono esserselo posto anche quei mortaresi che hanno visto del fumo nero uscire dal Fabricòn. 
L’enorme stabilimento Marzotto, chiuso ormai dal 2005, è l’immagine più triste ed eloquente della “Mortara che non c’è più”. Negli anni si è parlato di quella mastodontica area: sempre durante le campagne elettorali e per un’iniziativa editoriale dell’ex sindaco Giuseppe Abbà, che ha dedicato un libro alla sirena del Fabricòn, ma mai per fatti di cronaca.
Poi, venerdì scorso, 8 settembre, il rogo. In municipio aspettano ancora la relazione dei vigili del fuoco intervenuti sul posto, ma pensare all’autocombustione è davvero ridicolo. 
È evidente che alcuni vandali si siano introdotti all’interno dell’area industriale dismessa, dando fuoco al materiale combustibile presente all’interno dello stabile. Perlopiù legno.
I segni delle intrusioni, all’interno dello stabilimento industriale, sono evidenti: la fabbrica dismessa è piena di scritte realizzate con bombolette spray. 
I Vigili del fuoco sono intervenuti per domare le fiamme che avevano interessato una porzione del tetto che in parte è crollato. Non si sono registrati feriti, evidentemente chi aveva dato le fiamme si era allontanato da tempo. 
I pompieri sono poi ritornati sul posto nella mattina di sabato 9: era visibile fumo nero, evidentemente qualche focolaio si era riattivato. 
L’incendio riaccende i riflettori sull’area industriale dismessa più grande della città dell’oca. Attualmente l’immobile è proprietà della “Immobili e Partecipazioni”, la società che gestisce il patrimonio immobiliare del gruppo Marzotto. Un “mostro” che si affaccia su via Lomellina che quotidianamente lancia alla città un interrogativo: quale futuro per questa area?
La superficie dell’area Marzotto è enorme: 50mila metri quadrati. Una città nella città. 
Qui si svolgevano i processi di lavaggio e pettinatura della lana che arrivava nello stabilimento attraverso i binari della ferrovia. Poi, la chiusura. E del Fabricòn, così veniva chiamato dai mortaresi, è rimasto solo il ricordo e il sogno di un ipotetico recupero.