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VIGEVANO – Voleva tornare dal marito. Per questo motivo il convivente l’ha uccisa mentre si faceva la doccia. Non ha preso l’ergastolo Marco De Frenza, 61 anni, ma 23 anni di reclusione per il reato di omicidio volontario. Questo perché l’uomo, nato a Bollate, pluripregiudicato, ha confessato il delitto di Marilyn Pera, non ha tentato di fuggire, non ha manipolato la scena del crimine e ha agevolato le indagini. Un “pentimento” tardivo che gli ha evitato la condanna a vita, anche se dal carcere di Pavia dove era già recluso uscirà soltanto quando di anni ne avrà 84. Inoltre, De Frenza, difeso dall’avvocato Roberta Cardinetti, secondo la sentenza del tribunale di Pavia, sezione penale, firmata dal giudice Elena Stoppini, dovrà risarcire oltre 300mila euro alle parti civili. Ne fanno parte anche Fiorenzo Preveato, il marito della vittima e il figlio minorenne della coppia, oltre a parenti vari difesi dagli avvocati Pierpaolo Chiorazzo e Claudia Tonda.
La ricostruzione del delitto e delle giornate precedenti fa scivolare in un ambiente di estremo degrado, sottoccupazione, alcolismo, droga, violenza e bassa istruzione. Gente ai margini, persone che vivevano di lavoretti saltuari. Sia De Frenza sia Marilyn Pera gravitavano intorno a Mede. Lei viveva nei pressi con Preveato e il loro figlio. De Frenza, esistenza da sbandato costellata di piccoli reati, aveva trovato lavoro come lavapiatti in un locale medese. Lì i due si sono conosciuti e hanno iniziato a frequentarsi, durante un periodo in cui Pera si era allontanata dalla casa coniugale per maltrattamenti da lei denunciati, da parte del marito.
L’omicidio
Nel pomeriggio dell’11 agosto 2021, De Frenza si era presentato presso la casa di reclusione di Vigevano suonando il citofono, e affermando di “volersi costituire per aver ucciso una persona”. Lo aveva anticipato con una telefonata. Aveva ammazzato Marilyn a mezzogiorno del giorno precedente. Il cadavere era ancora lì, nell’appartamento vigevanese di corso Novara in uso al figlio di lui, Adriano De Frenza. Gli agenti hanno trovato il corpo in bagno, nella doccia, in posizione prona. Di fianco un coltello con la lama lunga 14 centimetri, ricoperto di sangue. Sul comodino, oltre alla borsetta, anche sette flaconi di metadone e una scatola di xanax. Sul tavolo della cucina, invece, tre bottiglie di birra vuote, due di vino, una di gin e una di sambuca. Così avevano passato le loro ultime ore: l’autopsia ha evidenziato anche cocaina, forse consumata prima ancora. La donna, 39 anni, è stata colpita con tre coltellate. Una alla faringe e due al torace di cui una mortale, la prima, quella sferrata con più violenza. La lama è entrata tutta all’interno del corpo.
De Frenza, qualche ora dopo l’omicidio avvenuto il 10 agosto, aveva telefonato ad un’amica di Bologna. Una vecchia fiamma con cui era sempre rimasto in contatto. Ci ha parlato per circa un quarto d’ora, e poi l’ha chiamata molte altre volte a distanza ravvicinata. L’uomo “sembrava ubriaco” e le ha confessato di aver “combinato un casino”. Cioè di aver ucciso la compagna, di essersi scolato subito dopo un’intera bottiglia di sambuca e di essere andato a dormire. Il motivo della sua ira era proprio che lei volesse tornare dal marito. Proprio l’amica gli ha ripetutamente consigliato di costituirsi, cosa che ha fatto l’indomani. Marilyn, prima di entrare nella doccia, aveva confessato al compagno di voler tornare a casa, di aver rivisto il marito la notte precedente, di esserci andata a letto e di non voler perdere il figlio allontanandosene. Proprio per questo sarebbe stato meglio, per lei, rientrare sotto il tetto coniugale. L’assassino, adirato, sentitosi “preso in giro”, ha afferrato un coltello in cucina e l’ha trafitta. Ha continuato a bere anche nel giorno seguente, prima di costituirsi. Nell’altra stanza, c’era il cadavere ormai freddo.
“Andavo avanti a bere e a passeggiare per la casa – ha confessato agli inquirenti – avanti e indietro, avanti e indietro, chiedendomi sempre come ho fatto a fare una cosa del genere. Non mi rendevo conto, non ci credevo. Ogni tanto aprivo la porta del bagno per vedere se era vero quello che ho combinato e la vedevo lì, giù per terra. Quindi richiudevo la porta e ricominciavo a fare avanti e indietro come un pazzo, perché non ci credevo. Poi ribevevo, passava un po’ di tempo, riandavo ad aprire la porta e lei era ancora lì. E richiudevo. Ogni tanto mi sedevo perché ero stanco. Mi appisolavo sulla sedia o sul divano, mi sedevo cinque minuti e andavo a riaprire la porta. E lei era ancora lì, fino al giorno dopo, quando ho definitivamente capito che era tutto vero e sono andato a consegnarmi”.
Le premesse
Marco De Frenza era sottoposto agli arresti domiciliari fino al 23 maggio del 2021. Una volta libero è tornato a casa, a Mede. Con Marilyn Pera si conoscevano già, perché insieme a Preveato frequentavano lo stesso bar. Lei, con problemi di dipendenza da alcol e droga, era in cura al Ser.D. di Vigevano e aveva denunciato l’anno prima il marito per maltrattamenti. Dopo essersene andata di casa una prima volta col bambino per stare con la madre, era tornata da Preveato. Intanto frequentava De Frenza, all’inizio come amico, confidandogli di voler lasciare il compagno. Entrambi hanno trovato lavoro quasi contemporaneamente come lavapiatti in un ristorante di Mede, “La Culla”. A fine luglio si sono allontanati insieme da Mede. Prima sono andati a stare a Crema, da un amico dell’assassino che aveva condiviso la cella con lui ai tempi della galera. Poi a Castello d’Agogna, per due notti, sempre da conoscenze di De Frenza. Dopo è arrivato Adriano, il figlio, con cui i rapporti erano stati riallacciati da poco. Gli avrebbe dato le chiavi lui, prima di trovare una soluzione definitiva: potevano stare nella casa di corso Novara, al primo piano, almeno per un po’. Proprio nel tardo pomeriggio del 10 agosto, a delitto già avvenuto, Adriano De Frenza aveva telefonato al padre per sapere se fosse tutto a posto. Una chiamata di cortesia, apparente routine. Quest’ultimo, con voce alterata, aveva solo detto di non essere in casa e quindi di non andarlo assolutamente a trovare. Ha mentito sapendo di mentire, come avrebbe poi chiarito in tribunale. Tanti rifugi diversi, provvisori, per la coppia di amanti: Mede sembrava off limits. Preveato, infatti (e lo ha ammesso al processo) aveva minacciato entrambi di ritorsioni. Con un passato di tossicodipendenza, denunciato nel 2020 per maltrattamenti, aveva spiegato durante le varie udienze come i rapporti con Marilyn fossero degenerati per via dei crescenti abusi di alcol da parte di lei. “Una mattina – si legge nella sentenza – l’aveva minacciata di sotterrarla, se avesse continuato così”. La notte dopo, la donna non era rientrata. Così si era recato al ristorante. Aveva poi mandato un messaggio a De Frenza: “ricordati che te, da quando arrivi a Mede, da dove c’è scritto Mede in poi non entri”.
Qualche mattina dopo, il 9 agosto, giorno prima della tragedia, sapendo dell’incontro che Marilyn avrebbe avuto con gli assistenti sociali, l’ha attesa insieme al figlioletto alla stazione ferroviaria di Mede. Dal treno sono usciti lei con De Frenza. Preveato l’ha rincorso tirandogli dei sassi, il 61enne è riuscito a dileguarsi tra i campi. Marito e moglie si sono poi visti a Vigevano la sera stessa per capire cosa fare e, soprattutto, per discutere sul futuro del bambino. Hanno fatto pace, sono tornati a casa, hanno fatto sesso, hanno assunto cocaina. La mattina dopo, ancora un viaggio da Mede a Vigevano per la visita al Ser.D., perché era previsto l’esame obbligatorio del capello. Era proprio il 10 agosto, l’ultimo giorno di vita per la 39enne. La promessa era che Preveato sarebbe tornato a prenderla il giorno dopo, ma lei non ha più risposto al telefono. Sarebbe stata uccisa di lì a poco. Di fatto, la coppia (così è emerso dal processo) era ancora tale soltanto per il figlio. Durante una delle tante liti, il marito l’aveva afferrata al collo rischiando di soffocarla, e l’ha mollata soltanto dopo l’arrivo in stanza del bambino. Proprio Marilyn il 28 luglio aveva confidato a De Frenza “di voler fuggire insieme”.